Magazine Diario personale
La ragazzina si siede di malavoglia, come ogni cosa che fa. Osserva la città sotto di sé, e deve cacciare da un angolo del cervello l’idea che sia bella, ma tanto. Il piercing che ha sul labbro inferiore si è un poco arrossato, forse perché ha messo l’anellino con violenza quella mattina. Non aveva voglia di andare senza al funerale, anche se suo padre era scontento, e gliel’ ha dimostrato non guardandola. Sai che novità. Non avrebbe avuto voglia di vestirsi di nero, lei che sempre si veste così, avrebbe preferito una novità. Rosso corallo, ad esempio, anche per le unghie, sempre viola e mangiucchiate. Invece è tutta nera. Lutto, si dice. Così adesso su quella panchina verde di legno non sa che fare, guarda la sua città che ora all’improvviso le pare uno schifo, e ha schifo anche di sé, e tanto varrebbe non esserci neanche, sulla terra. Tira fuori il libro di Pavese che dovrebbe studiare: per capire meglio, le ha detto la prof di lettere. Tanto ha già deciso che non ci andrà neanche, alla maturità. Accarezza la copertina perché quel libro le piace, è a frammenti, un diario, roba agile, mica da secchioni. L’uomo è vestito di grigio che pare fatto di nebbia, compare all'improvviso e le si mette seduto vicino con disinvoltura, neanche avesse la sua età. Magari è un maniaco. Non le importa niente. Peggio di così. “Io non parlo con gli estranei” lei gli dice subito. “Perché, sei anche tu di Torino?” risponde lui con voce piatta e un po’ strana. Guarda che tipo simpatico pensa Giulia con una smorfia. Lui occhieggia il libro sulla panchina. “Aspetto la morte” dice la ragazzina. “Avere qualcosa da aspettare, è già un buon segno” rilancia lui. “La vita non c’è, è solo illusione” continua allora lei, con gli occhi velati di lacrime. “Non lo so” risponde calmo l’uomo color nebbia “ma qui non ci sono forse i suoi frammenti? Non sono reali, questi?” e indica il libro.“Oh, ma insomma…” comincia ad agitarsi lei, tirandosi l’anello del piercing quasi fino a farlo sanguinare. Lui alza le mani in segno di resa. “Non ho risposte” le dice “solo una domanda. Adesso, se hai qualcosa da dire, parla. Ti ascolto. Poi ti chiederò una cosa, e dopo me ne andrò”E così Giulia racconta all’uomo grigio e sconosciuto di come sua madre le sia morta tra le mani e lei non abbia saputo fare altro che lasciarla andare, e anche che la scuola non ha senso e poi non ci sarà niente, niente se non ripetere le solite cose. La discoteca, qualche canna, bere e mangiare, due passi all’Otto Gallery a vedere la vita degli altri, come pesci in un acquario di acqua guasta. E non ci sarà un lavoro giusto. Niente speranza. E allora a che serve vivere, gli chiede disperata. E' vita, questa? Allora tanto vale, tanto vale fare come lui, piange Giulia e indica la copertina del libro, del diario, di quel pezzo di vita altrui di cui ha imparato a memoria alcuni brani, e ora glieli recita, con le mani e il moccio al naso. L’uomo che ha il colore della nebbia si alza e fa la sua domanda. “Siamo sinceri. Se ti comparisse davanti Cesare Pavese e parlasse e cercasse di fare amicizia, sei sicura che non ti sarebbe odioso? Ti fideresti di lui? Vorresti uscire con lui la sera a chiacchierare?” Detto questo, se ne va camminando verso Superga. E lei si ricorda. Apre il libro con il cuore in gola. Che memoria. Le stesse, identiche parole. 6 maggio 1938, pagina 99.R.L.
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