Magazine Diario personale
Volo da sola da quando avevo dodici anni.
Tratta Milano - Brindisi, una targhetta appesa al collo, venivo affidata alle hostess, portata sull’aereo su una vecchia panda bianca ed ero la prima a salire e l’ultima a scendere.
Sentivo addosso gli sguardi degli altri passeggeri e mi isolavo con la cuffia nelle orecchie e un libro in mano: un’ora passava in fretta. Ma ora, finita la maturità, il mio primo lungo viaggio: Vermont, Stati Uniti, dove per un mese starò in un campus a studiare inglese.
La mia tenuta da viaggio è sempre la stessa: jeans comodi, maglia per combattere l’aria condizionata, caramelle contro le orecchie tappate, una buona scorta di libri e parole crociate nello zaino, il walkman e tutte le cassette che posseggo.
L’aereo è enorme, con file da dieci posti, il mio è vicino al corridoio. Meno male: chissà quante volte dovrò alzarmi per andare in bagno !Mi guardo attorno: ci sono uomini d’affari non abbastanza potenti per la business class, intenti a scrivere al computer o a leggere il giornale, famiglie con bambini che già urlano e litigano, coppiette mano nella mano che si sbaciucchiano o bisbigliano nelle orecchie. I ragazzi della mia età scarseggiano, solita sfiga.Ce la farò a sopportare per nove ore i pargoli urlanti o a metà viaggio avrò l’istinto di buttarli giù dall’aereo? penso mettendo lo zaino sotto il sedile davanti.Dopo un’ora un annuncio del comandante “stiamo attraversando una turbolenza, allacciate le cinture fino a quando l’apposito segnale non verrà spento” .Troppo tardi, la mia coca cola si è rovesciata addosso alla signora grassa seduta vicino a me, interrompendo il suo monologo sulla storia della sua famiglia, le ultime tre generazioni, e tutti i suoi problemi di salute.
“Oh, mi dispiace, davvero” le dico porgendole un fazzoletto di carta, ora che si è improvvisamente zittita.Due sedili davanti a me una coppietta sta litigando, perché lui non è stato abbastanza attento e le ha dato una testata quando l’aereo ha iniziato a ballare, più avanti i bambini stanno vomitando nell’apposito sacchetto .Questo volo non è poi così male! penso , trattenendomi dal ridere.L’aeroporto di New York è immenso, in confronto quello di Brindisi sembra uno sgabuzzino.Dopo aver ritirato il mio bagaglio, una valigia extra large verde bottiglia munita di ruote e una specie di guinzaglio per tirarla, da me soprannominata Fido, avvicino timidamente una hostess e le chiedo con il mio inglese incerto dove sono i taxi.Mi sembra che lei parli con una patata in bocca e capisco solo qualche parola qua e là, speriamo che bastino. “Left” “Gate A” “downstairs”.Giro a sinistra, seguo l’indicazione Gate A e dopo aver camminato un tempo che sembra interminabile, trovo delle scale mobili e finalmente arrivo al piazzale con i taxi.Il pullman partirà solo domattina, ho tempo per andare in hotel a riposarmi.Sbrigate tutte le formalità, dopo una doccia rinfrescante e una telefonata ai miei genitori, decido di fare due passi.L’hotel è in pieno centro, ne approfitto per un giro sulla Fifth Avenue, cammino con il naso all’insù per ammirare i grattacieli, ordino un hot dog nel primo chiosco che incontro e mi sento dentro a un film poliziesco.Ritorno velocemente in albergo, la sveglia è all’alba e devo chiedere come arrivare alla stazione dei Greyhoud bus, con l’inconfondibile levriero su sfondo blu.Sono le 5 del mattino, sul piazzale ci sono pullman a perdita d’occhio con nomi di posti mai sentiti. Apro lo zaino, tiro fuori l’indirizzo del campus e mi avvicino a un autista a caso, un omone con la faccia tonda e i capelli rosso fuoco che sta fumando una sigaretta vicino a un palo.Gli mostro il foglio, lo legge e mi indica la palina numero dieci. Ringrazio con un cenno del capo e un sorriso e mi avvio.Il tragitto durerà quasi sei ore, ho paura di addormentarmi, quindi decido di prendere un caffè alla macchinetta, il primo della mia vita: esce un bicchiere alto colmo di un liquido bollente con un vago odore di caffè.Non mi piace ed è troppo caldo, ma vista la quantità durerà per un bel po’ e spero che faccia il suo effetto.L’autista mi aiuta a caricare Fido e finalmente salgo sul pullman. All’interno l’umanità è variegata: bianchi, neri, qualche latinoamericano, c’ è un miscuglio di accenti e lingue a cui non sono abituata. I turisti come me sono pochi, solo una coppia di giapponesi e un ragazzo francese.Si parte! Cuffie in testa e bicchiere in mano mi siedo e inizio a guardare fuori dal finestrino, usciti da New York il paesaggio cambia e il traffico attorno a noi diminuisce.Inizio a intravedere le montagne, siamo in una strada in mezzo al nulla quando improvvisamente il pullman si ferma. Mi sporgo per vedere meglio ma non c’è nessuna fermata.Mi tolgo le cuffie e ascolto il brusio degli altri passeggeri, qualcuno si è alzato e sta andando verso l’autista, che però non gli dà retta, è impegnato a parlare alla radio.Alla fine l’autista si gira e si rivolge verso di noi, capisco solo “the bus is broken”, il pullman è rotto.Scendiamo tutti, siamo su una strada polverosa, davanti a noi solo campi di grano, in lontananza si intravedono delle case. La temperatura è mite, c’è chi sbadiglia e si stira, chi sgranchisce le gambe, chi inizia a parlare.Vicino a me padre e figlio afroamericani, il ragazzo non è niente male, alto e con profondi occhi neri, sotto la maglietta gialla dei Los Angeles Lakers si intravede un fisico esile ma muscoloso. Prende un radiolone dal bagagliaio del pullman, lo accende e inizia a ballare la breakdance.In un attimo siamo tutti attorno a lui a battere le mani, qualcuno inizia a cantare.Poso a terra lo zaino e cerco la macchina foto, voglio immortalare questa scena, al ritorno a casa nessuno crederà al mio racconto.Non faccio in tempo, il ragazzo mi prende per mano e mi porta in mezzo al cerchio, vuole che balli con lui.NO, NO, faccio cenno con la testa mentre mi sento avvampare le guance.Mi mostra un passo “Come on, it’s easy, try!”. Provo ma sono negata per il ballo, figuriamoci la breakdance, altro che facile! Arriva il padre e si mette a ballare battendo le mani a tempo, pian piano anche gli altri iniziano a muoversi, ora è una festa in piena regola .Veniamo interrotti dall’arrivo del pullman sostitutivo, spostiamo i bagagli e si riparte.Ma l’atmosfera è cambiata, siamo tutti amici, inizia uno scambio di bibite e cibarie, canti, risate. Ogni fermata si saluta le persone che scendono, dopo qualche fermata tocca a Mike e a suo padre, sono arrivati.Si volta verso di me e mi dice “Take care”, stammi bene. Mi mancheranno.
Sabrina Ercole Bidetti
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