Come avete avuto modo di leggere, ieri, in Grecia, il parlamento, dopo la terza votazione, non è riuscito ad eleggere il nuovo Presidente, per la cui elezione erano necessari 180 voti. Quindi, il parlamento greco è sciolto automaticamente e si andrà al voto anticipato previsto per il prossimo 25 gennaio. Secondo gli ultimi sondaggi, sarebbe in vantaggio la sinistra radicale di Syriza, il partito guidato da Alexis Tsipras, il cui programma, tra le altre cose, prevede la rinegoziazione del debito pubblico e la cessazione dell'austerità.
Secondo alcuni autorevoli commentatori (certamente più autorevoli di me, che non sono autorevole) che danno per scontato l'allentamento monetario della BCE, il QE di Draghi sui debiti sovrani dovrebbe nascere in un contesto del genere. Cioè, in un contesto entro il quale un partito potenzialmente "antisistemico", qualora dovesse vincere le elezioni, potrebbe ripudiare (in tutto o in parte) il debito acquistato dalla Bce. Perché potenzialmente antisistemico?
Per il semplice motivo che faranno di tutto per alleggerire le posizioni di Syriza sull'austerità e, più in generale, sulla questione euro.
E' evidente che la diplomazia europea, nelle settimane successive, cercherà in tutti i modi di costruire qualche "argine difensivo" per fronteggiare gli scenari avversi che potrebbero determinarsi per via del risultato del voto ellenico del prossimo 25 gennaio. Ora la domanda è assai semplice, così come lo sono alcune considerazioni.
La crisi dei debiti esplosa nel 2011 ha smascherato tutta la vulnerabilità strutturale della moneta unica, così come le sue disfunzionalità. Dopo 4 anni, i passi avanti che sono stati fatti sono assai timidi e comunque neanche lontanamente sufficienti a garantire la sopravvivenza dell'euro. In buona sostanza, se si è arrivati fino a questo punto, il merito (o demerito, a seconda dei punti di vista) è solo della Bce e dell'artiglieria che è stata messa in campo per scongiurare la rottura dell'euro, più volte rischiata nel corso del 2011 e 2012.
Dal fonte politico, pressoché nulla è stato fatto per risolvere alla radice le disfunzionalità della moneta unica adottata in aree economiche strutturalmente e geneticamente dissimili. La politica monetaria, per quanto audace ed espansiva, non basta più e quello che può fare la BCE è solo guadagnare tempo, scalciando il barattolo più a vanti possibile. Ma fino a quando? Fino a dove?
In assenza della volontà politica (che non appare all'orizzonte) di riformare nell'immediato l'eurozona, creando un'area idonea a compensare al proprio interno le asimmetrie esistenti tra le varie nazioni, la domanda è: siete così sicuri che l'euro, tra sei mesi, un anno o 5 anni, possa ancora sopravvivere? E se si, a quale prezzo?
Personalmente, non mi sentirei di scommetterci granché.
Da Repubblica
Spread in fibrillazione, Borse a picco e il tam tam dei listini (ormai più protagonisti che osservatori della crisi dell’euro) che torna a ventilare un’uscita della Grecia dall’euro. Atene è tornata a far tremare l’Europa. Ma quali sono veramente i rischi di questo scenario? E come possono influire sull’Italia e sugli italiani. Ecco il vademecum in domande e risposte per sopravvivere all’incertezza sotto il Partenone.
È POSSIBILE CHE LA GRECIA ESCA DAVVERO DALL’EURO?A dar fede alle dichiarazioni dei protagonisti, no. Alexis Tsipras, leader di Syriza in testa in tutti i sondaggi ha ribadito che Atene vuole rimanere nella moneta unica e non farà mosse unilaterali rispetto agli accordi con la Troika. Il suo partito chiederà però un netto taglio del debito a Bruxelles e in caso di vittoria alle elezioni cancellerà alcune delle misure d’austerity prese dal governo Samaras. Si arriverà, sperano gli ottimisti, a un compromesso. In caso contrario Bce, Ue e Fmi potrebbero (in linea teorica) chiudere i negoziati e sospendere gli aiuti al Paese che aspetta ancora 7 miliardi di prestiti necessari per evitare il default.
COSA SUCCEDE SE LA TROIKA ROMPE LE RELAZIONI CON ATENE?Il vero problema a quel punto è la liquidità delle banche. Molti temono una corsa agli sportelli di risparmiatori spaventati per ritirare i loro soldi. In teoria la Grecia non ha molti debiti in scadenza fino a giugno e visto che oggi il bilancio dello Stato (al netto degli interessi) è in attivo di 3 miliardi potrebbe resistere per qualche tempo. Se la Bce però — in assenza di accordi — smettesse di garantire prestiti agevolati agli istituti ellenici, la situazione rischierebbe di avvitarsi in tempi brevi portando il Paese al rischio di crac. Anche perché il livello di soldi contanti nelle casse dello Stato è molto basso.
QUANTO È ALTO IL RISCHIO DI CONTAGIO?I capricci di questi giorni dei mercati confermano in qualche modo come i destini dei Paesi più fragili dell’area Ue siano legati tra di loro. Se la Borsa di Atene trema per la crisi politica, gli effetti collaterali (spread in rialzo e listini in calo) arrivano fino a Roma, Madrid e Lisbona. In realtà però la situazione in Europa è molto migliorata rispetto a due anni fa e quasi tutti gli osservatori dicono che il rischio di contagio della Grecia è molto più basso di allora. E in fondo la reazione relativamente composta di ieri di Piazza Affari e del listino di Madrid è una conferma indiretta di questa ipotesi.
PERCHÉ SI RISCHIA MENO DEL 2012?La Bce ha in arsenale un piano per aiutare con ampie iniezioni di nuova liquidità i mercati, il Fondo salva-stati è pronto a intervenire e in fondo diversi dei Paesi in crisi nel 2012, Irlanda e Madrid in primis, hanno fatto passi avanti nella riduzione del deficit e quindi sono molto meno vulnerabili. L’Europa, dunque, pare avere diverse cartucce da sparare prima di venir travolta da una crisi relativamente “piccola” in termini finanziari come quella di Atene.
ANCHE LA GRECIA ALLORA PUÒ STARE TRANQUILLA?
Purtroppo no. Anzi, il contrario. La Troika — con le spalle coperte da Bce e Esm (European stability mechanism) — potrebbe ridurre al minimo le concessioni ad Atene per evitare che le altre nazioni finite sotto la tendina di Bce, Ue e Fmi (e magari Italia e Francia in futuro) possano chiedere lo stesso trattamento e una ristrutturazione del proprio debito. Ipotesi più che indigesta ai falchi del Nord Europa.
COSA SUCCEDEREBBE AI RISPARMI DEGLI ITALIANI IN CASO DI CRAC DELLA GRECIA?Di sicuro l’incertezza, come sta avvenendo in queste ore, farebbe fuggire un po’ di investitori esteri verso strumenti più sicuri come i bund tedeschi con l’effetto di alzare il rendimento dei nostri titoli di Stato e rendendo un po’ più complesso il servizio del nostro debito. Se l’Italia resterà immune al contagio però potrebbe trattarsi di una perturbazione passeggera. Altrimenti si aprirebbero scenari più complessi e oscuri. Basta pensare a cosa è successo ad Atene tra fughe di capitali e crolli di listini ed economia quando è arrivata la Troika. Ma allo stato è un’ipotesi dell’irrealtà che nessuno — nemmeno le Cassandre di professione — vuol prendere in considerazione.AGGIORNAMENTO
Pare che anche il Ministro delle Finanze tedesco, Wolfgan Schauble, ritenga urgente cambiare i trattati al fine di rafforzare la governance economica con un ministro delle Finanze che rappresenti i paesi che adottano la moneta unica.
Al netto del fatto che questo "auspicio" appare assai sospetto alla luce delle prossime elezioni in Grecia, occorrerebbe chiedersi: tra quanto tempo? Un anno? due? dieci? E nel frattempo, che si fa? Allo stato attuale non esistono condizioni politiche per fare domani (cioè tra dieci o forse venti anni) quello che si sarebbe dovuto fare ieri, cioè prima della nascita dell'euro. I risultati di cinque anni di crisi, accompagnati da fiumi di inutili dibattiti da parte della nomenclatura politica europa, sono assai tangibili e rimarranno tali per molto tempo ancora.L'Europa deve «urgentemente cambiare i trattati» almeno per l'Eurozona, e, come già proposto in altre occasioni, serve un rafforzamento della governance economica con un ministro delle Finanze per i Diciotto. Lo ha detto il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble intervenendo al congresso europea dei banchieri, a Francoforte, dove questa mattina ha parlato anche ilpresidente della Bce, Mario Draghi. «Non voglio dover difendere l'euro per i prossimi cinque o dieci anni con l'attuale governance», ha detto l’alleato di Angela Merkel.Non è la prima volta che Schaeuble, spesso accusato di eccessiva rigidità nella difesa del modello tedesco fatto di austerità e conti in ordine, mostra il suo lato più europeista. Da tempo sostiene infatti che l’Eurozona ha bisogno di maggiore integrazione: di qui la sua proposta di un ministro delle Finanze, di un Parlamento e di un bilancio autonomo per la zona euro. Quel secondo pilastro insomma che deve servire a rafforzare la moneta unica, troppo esposta agli attacchi degli investitori ai suoi anelli più deboli, come dimostra la dolorosa storia degli ultimi anni.
Il Governo tedesco è favorevole a ulteriore cessione di sovranità, più di quanto tradizionalmente non lo sia quello francese. Cessione di sovranità che tuttavia non deve mettere in discussione le linee guida delle politiche nazionali, che secondo Berlino, nonostante il rallentamento dell’economia dell’Eurozona, devono essere basate su un equilibrio tra entrate e spese pubbliche e non sull’emissione di nuovo debito.
In nessun caso, ha charito il ministro delle Finanze del governo Merkel, sarà possibile ripetere gli errori fatti a inizio degli anni 2000, quando a Germania e Francia è stata permessa la violazione del Patto di stabilità e di crescita. «L'errore più grande nella storia dell'Eurozona - ha detto Schaeuble - è stato permettere a Francia e Germania nel 2003 di non attenersi alle regole che avevamo tutti concordato assieme. Dopo di che è successo un patatrac. Adesso, non ripetiamo gli stessi errori di allora ma diciamo che bisogna rispettare le regole».
L’idea di potenziare la governance dell’Eurozona circola da tempo. Il presidente uscente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, aveva messo a punto nel 2012, nel pieno della crisi dell’Eurozona, un documento elaborato insieme a Mario Draghi, José Manuel Barroso e Jean Claude Juncker, basato su 4 pilastri per rafforzare l’area euro: unione bancaria, unione di bilancio, unione economica e maggiore legittimazione democratica delle istituzioni europee. Finora il documento di sette pagine, intitolato «Verso un’autentica unione economica e monetaria», se si eccettua il primo punto, è rimasto lettera morta. Dovrà essere rilanciato dall’erede di Van Rompuy, il polacco Donald Tusk, che dal 1° dicembre diventerà il nuovo presidente del Consiglio europeo co un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una sola volta.