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Una volta la domandona tabù per ogni giovane appassionato di musica era: “Ma tu quanti dischi hai a casa?”10, 100? Più di 1000?Sì, c’era chi ne aveva più di mille.Poi qualcuno cominciava a frequentare qualche redazione, qualcuno metteva su il negozio. Certo che gliene passavano per le mani di dischi… Chi più ne aveva, più ne sapeva, più poteva vantare pareri illuminati, più si avviava a scrivere di quella stessa musica che teneva sugli scaffali. Più celebrava il proprio “possesso”. Come Gaber nel “Monologo del pelo.”Oggi una domanda del genere è totalmente priva di significato.Con Spotify, Deezer, Youtube, “download on demand” e compagnia bella, abbiamo già tutto.Tutto. Lì, fruibile nel PC o nello smartphone. Anche a gratis.Non è più questione di numero né di possesso.Anche grandi aziende “tradizionali” come Amazon, nate come negozi, puri e semplici rivenditori, diventeranno distributori e intermediari. Provider di musica (e libri). Si trasformeranno da “store” che vendono beni materiali a gestori che offrono un servizio. Un voucher per ascoltare minuti in stream, un abbonamento ricaricabile, una tessera premium.Quindi la domanda non sarà più “Quanti CD hai?” , perché di fatto già li ho tutti.Ma piuttosto “Quanto tempo dedichi all’ascolto?”In realtà credo che proprio da ciò si presenti una resistenza implicita che in tanti di noi provano nell’accedere a Spotify o servizi simili. Quando sono in casa, di fronte allo scaffale dei miei CD, sto di fronte ad uno spazio fisico finito che conosco e misuro bene. Conosco la musica che c’è dentro. La controllo. L’ho comprata io, l’ho scelta io dall’espositore del negozio.Quando sono di fronte alla schermata di Spotify, quel mio scaffale diventa un minuscolo sottoinsieme di un catalogo difficile, se non impossibile, da misurare.Sarà sempre in maggioranza la musica che non conosco, che non ho mai ascoltato, rispetto a quella che conosco. Sarà in maggioranza la musica che mi sono sempre ripromesso di possedere, che addirittura mi sento “in dovere di ascoltare” (prima o poi), rispetto a quella che ho comperato e che ho sulle mensole di casa.C’è di che perdere le proprie sicurezze di appassionato, di collezionista, di esperto; pure di critico…
Due brani diversi tra loro per spiegarmi meglio.
No, io no. Io sono un uomo felice. Beh, forse la felicità non esiste, diciamo che sono un uomo sereno. Mi basta veramente così poco. Pensate, io non ho niente!
Coro 1: Io non ho niente.Coro 2: Io non ho niente.Coro 3: Io ho un pelo!
Eh già, lui ha un pelo. Chissà poi cosa se ne fa di un pelo. Lui ha un pelo, e io non ho niente...Però bisogna ammettere che un pelo... è un pelo. E c'è chi ce l'ha, e c'è chi non ce l'ha... io per esempio non ce l'ho... che a pensarci bene un pelo mi sarebbe anche utile! Eh sì, oggi come oggi uno che non ha un pelo... Bisogna che me lo procuri.Sì, io devo avere un pelo!Uhaaaa!!!
Io ho un pelo!
Coro 1: Io ho un pelo.Coro 2: Io ho un pelo.Coro 3: Io ho dieci peli!
Beato lui che ha dieci peli! No per carità, io non mi lamento, io il mio pelo ce l'ho...Certo che uno che ha dieci peli è già in un'altra posizione. Uno con dieci peli ha praticamente risolto... dieci peli sono già una peluria, eh! Bisogna che me li procuri.Sì, io devo avere dieci peli!Uhaaaa!!! Dieci.Io ho dieci peli!
Coro 1: Io ho dieci peli.Coro 2: Io ho dieci peli.Coro 3: Io ho cento peli!Maledizione! Lui ha cento peli, cento, e io sono stanco, distrutto, non ce la faccio più, ma resta il fatto che lui ha cento peli e io ne ho dieci, e dieci peli oggi cosa sono... non sono più niente, sono una miseria.
G. Gaber – Dialogo tra un impiegato e un non so
(Nota personale: ma ci metteremo mai a rilegger, rianalizzare, letterariamente dico, l’opera di Gaber? O la continuiamo a considerare roba da canzone leggera italiana? O protesta oppositiva di uno spirito contestatore e anarcoide? No, perché…mica è così…)
Ed ora una breve citazione da “The Paradox of Choice” di Barry Schwartz, suggeritomi da Massimiliano di Detriti di Passaggio, banalissimamente copiata da Wikipedia.Autonomy and Freedom of choice are critical to our well being, and choice is critical to freedom and autonomy. Nonetheless, though modern Americans have more choice than any group of people ever has before, and thus, presumably, more freedom and autonomy, we don't seem to be benefiting from it psychologically.http://en.wikipedia.org/wiki/The_Paradox_of_Choice
Vi rimando a Detriti e a Massi per approfondire.
Appendice su tempi e denari…Se 20 anni fa “il recensore” poteva farci spendere o meno le 20.000 del disco, oggi può al massimo farci o meno perdere 20 minuti di vita nell’ascolto di un disco.Secondo me questo è un passo avanti. Abbandoniamo un concetto derivato e “geolocalizzato” come il denaro in favore di uno più puro come il tempo. Poi si dice spesso, magari non senza qualche ragione, che oggi non servono più queste benedette recensioni; proprio perché ormai non ci sono soldi di mezzo e l’accesso alla risorsa è tanto libero che posso ben gestire in autonomia i miei ascolti. Ma non lo diremo forse per un nostro vecchio vizio (di italiani, latini, europei, boh...) e cioè il considerare il denaro liquido più importante del nostro tempo personale?Ma proprio in ragione di questo cambiamento di oggetto (denaro, tempo), occorre cambiare il modo di proporre e descrivere la musica al pubblico.
A presto, per tentare qualche risposta!
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