Se la porta s’apre, a sera, è lui.
Ritorna odoroso di freddo, con il sapore dell’auto e del lungo viaggio fra le labbra, con gli occhi arrossati dagli abbaglianti delle altre auto.
Ti stringi e scaldi le mani, le guance ruvide, il collo; lo prendi per mano – grata del ritorno – e mostri il tavolo apparecchiato, il calore delle stanze, le luci.
La casa lo accoglie, lo circonda, tutt’una con la gatta che gli si struscia contro i pantaloni di velluto e gnaula felice.
Richiudi la porta a doppia mandata: tutto resta fuori.
Riprendono a pulsare vive le stelle nel cielo buio, i rami secchi indicano la volta del firmamento.
Se a sera fa più freddo è tempo di neve, ormai; attendi i ghiacciati fiocchi mentre ti arrotoli nel piumone ed incroci le tue gambe alle sue gambe, le tue braccia alle sue braccia. II respiro è lo stesso, ha il medesimo ritmo.
Mi attrae quel vuoto residuale,
cruna di deserto, voluttuario
alle pendici del sonno:
l’esile pronunciamento del corpo
è nudo nella sua sete inestinguibile.
Amami, nell’ inflorescenza
che consuma il polline, nel turbinìo
del mondo quando chiude le stelle
in un abbraccio.
L’occhio accerchia l’ondeggiare
tenero dell’erba, il vento
vi trascorre il disertato grido.
Ninnj Di Stefano Busà
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