Comincia oggi questa nuova rubrica, che si chiama Ten Talking Points come quella del Guardian perché al Fatto siamo tutti megalomani e io in particolare. Tale rubrica, nata sulla mia pagina Facebook e in grado di raggiungere in pochi minuti i 3 miliardi e 450 milioni di contatti giornalieri (da qui la decisione di renderla ufficiale), commenterà ogni lunedì i fatti della serie A, fermo restando che lo scudetto l’ha già vinto l’Inter, il Pallone d’Oro andrà a Medel e la Scarpa d’Oro a Nagatomo (115 reti). Le caratteristiche di Ten Talking Points (TTP) saranno le seguenti: essere una rubrica faziosa, rutilante, geniale, cazzara, delirante e quel che più conta inutile. In attesa di Chievo-Sampdoria (ore 19) e Palermo-Empoli (ore 21), dieci considerazioni sparse sulla 11esima giornata di campionato.
1) Il Napoli di Sarri è uno spettacolo, e lo sono anche le sue conferenze stampa, finalmente libere da ipocrisia e salamelecchi. “Cosa ci è mancato? Un po’ di culo”. Applausi, e l’analisi è peraltro abbastanza vera. Detto che il Genoa di Gasperini in casa è un colosso quantomeno ostico, il Napoli – soprattutto nel secondo tempo – ha fallito almeno quattro occasioni solari (soprattutto Hamsik). Se il Napoli si chiamasse Inter, oggi festeggerebbe la sesta vittoria consecutiva grazie al gol al 93esimo di Gabbiadini su punizione (con deviazione). Invece Perin l’ha presa. In ottica scudetto due punti persi e non uno guadagnato, che potrebbero pesare assai. Insigne pazzesco, ma dovrebbe capire che la panchina non è una gogna. Peserà l’infortunio a Mertens, talento evidente per tutti tranne che per il sobrio pensatore contemporaneo Eziolino Capuano. Se c’è una giustizia nel calcio, il Napoli si giocherà lo scudetto con la Roma (e la Fiorentina). Ma giustizia nel calcio non c’è.
2) E a conferma che non ci sia giustizia nell’omertoso mondo del calcio, Tavecchio è ancora lì a lottare in mezzo a noi. In pochi mesi ha insultato neri, donne, ebrei e omosessuali. Vamos. Gli mancano solo gli alieni e Orfini, e poi ha colpito proprio tutti. Non dovrebbe dimettersi, ma abbandonare proprio il pianeta Terra.
3) La Roma è stata vittima di un Mancini che ha sbagliato pochissimo (non di sola fortuna si vive) ma anche di alcuni deliri che tende a ripetere. La sostituzione di Garcia (Vanquer per Dzeko), sotto 1-0 e in dieci, è da antologia tafazzesca. Oltretutto Vanquer è persino più lento dell’indimenticato Kubik. Scellerata l’espulsione di Pjanic, che nel derby mancherà come il pane. Peggiore partita in giallorosso dell’iper-anarchico Salah, che però è rimasto in campo sino alla fine. La sensazione è poi che il portiere impronunciabile sia in fase regressiva e stralunata: non ne becca più una e nel frattempo, senza di lui, l’Arsenal vola. Resta favorita con Inter e Napoli, ma questi sono punti buttati via.
4) Tra le cose più dure che incontriamo nel nostro cammino, ci sono le telecronache di Caressa. E tra le cose più dure delle telecronache di Caressa, c’è la sua pronuncia inutilmente teatrale di “Digne”. Diventa una cosa tipo preludio dell’Armageddon e soffio dagli Inferi: una pronuncia mefistofelica (“Ddddignnnnn”), con la “D” dura che fa proprio paura. Fermatelo.
5) L’Inter di Mancini non gioca male: non gioca proprio. Trasuda una bruttezza estetica che acceca, inebria e devasta. Ogni volta che la si commenta, le frasi più gettonate sono: “Gli avversari meritavano almeno il pareggio”; “Squadra cinica”; “Vittoria fortunata”. Però è prima, quindi ha ragione lei (e lui). Sei 1-0 e un 2-1, sempre vittorie di misure, una sola sconfitta (con la Viola) e Handanovic sempre man of the match (a parte con la Viola). Più che ricordare il Milan sparagnino di Capello, rimembra la Longobarda di Oronzo Canà con Aristoteles depresso. Per dirla con Schopenhauer, “Ha più culo che anima”. Mancini ha però indovinato D’Ambrosio e Nagatomo sulle fasce e l’attacco senza punte di riferimento (il simpatico Icardi in panchina). Bravo. Perisic continua a cambiare posizione ogni sette minuti. Medel è la versione tascabile di Gattuso. Scudetto sicuro. Complimenti Mancio.
6) (Le frecciate e gufate all’Inter sono dovute al fatto che molti lettori del Fatto sono interisti e, leggendo queste cose, si arrabbiano. Quindi scrivono di più, e a quel punto aumenta il traffico sul sito. Così Peter Gomez è felice e in redazione per premio ci offre la cedrata Tassoni, bevanda di cui va ghiotto in particolare l’astemio Marco Travaglio. Insomma, scrivo male dell’Inter per una bieca tattica commerciale. In realtà in camera ho il poster di Santon e Miranda vestiti da Ric e Gian, e quando sono felici guardo il dvd con le rovesciate di Ranocchia).
7) Coazione a ripetere. E’ una delle sindromi freudiane del Torino, squadra encomiabile ma con vocazione atavica al masochismo. Al 70’, quando stava dominando e sembrava certa la vittoria granata, ho mandato un sms al mio migliore amico Nardella, scrivendogli: “La perdono anche stavolta al 93esimo, proprio come un anno fa”. E infatti. Era tutto sin troppo prevedibile. Nella Juve va segnalato come Allegri sia stato costretto a indovinare il cambio giusto (e lo schema giusto) grazie all’infortunio di Khedira che ha aperto le porte a Cuadrado. Il migliore in campo bianconero rimane Buffon, un fenomeno tanto tra i pali (miracolo su Glick) quanto nelle conferenze stampa (mercoledì dopo la mattanza col Sassuolo). La Juve non può recuperare la vetta, e anche il terzo posto a questo punto è durissima, ma risalirà.
8) (Per la cronaca, dopo l’sms, il mio amico Nardella mi ha risposto così: “Scusa Scanzi, ma che cazzo vuoi e cosa me ne frega a me del Torino?”. Giustamente).
9) La Fiorentina è stata brava a vincere due partite “facili” dopo le tre sconfitte in sette giorni. Borja Valero è il Musagete che illumina la Via e Rebic pare vieppiù interessante (benché incostante). Merita il primo posto, anche se continua ad apparire un passo indietro a Roma e Napoli. Paulo Sousa sta facendo cose encomiabili (Europa League a parte) e ieri ha funzionato anche il turnover. Il Frosinone, per l’occasione, in porta ha schierato un simpatico Gormita (Zappino). In tribuna c’era anche Renzi, con un golfino si presume trafugato al trisnonno. Non appena lo hanno inquadrato, tutti i tifosi che lo detestano hanno comprensibilmente bestemmiato e si son detti: “Ma questo qua doveva tifare proprio Fiorentina?”. Ecco, amici viola, adesso capite come si sentivano i milanisti quando vincevano (vincevamo) la Champions League e, all’apice del godimento, la tivù inquadrava Silvio. Benvenuti nel club.
10) Nove punti in sette giorni e una vittoria corsara all’Olimpico, contro una Lazio che veniva da otto vittorie consecutive casalinghe. Probabilmente non ci crede neanche Mihajlovic, che si ritrova addirittura quinto (col Sassuolo) a tre punti dal Mirabile Sarri. Il Milan non è guarito e resta una squadra se va bene da sesto-ottavo posto, ma il marziale Sinisa ha qualche merito: il recupero di Cerci, l’azzardo Donnarumma, il cambio modulo e i due esterni a supporto di Bacca (due punte e trequartista addio). Cresce Romagnoli e tutto sommato Bertolacci, che è però riuscito a rompersi tentando un tacco. Emblematico il comportamento di Mexes nell’ultima mezzora. Ogni volta che la Lazio attaccava e non segnava, lui dava il cinque a chiunque avesse accanto: Donnarumma, De Sciglio (mamma mia), Antonelli (moto a casaccio perpetuo). Non ci credeva neanche lui. Se l’abnegazione bastasse per essere bravi, Kucka sarebbe Di Stefano. Il recupero di Mexes è quantomai utile e Bonaventura dona gioia e letizia: l’unico a non accorgersene resta Conte.
10 bis) Note veloci a margine. Applausi a Donadoni, uno degli allenatori più sottovalutati. Carpi-Verona si è rivelato l’unico evento in natura più noioso di una direzione Pd. Montolivo, anche quando gioca benino, mi sembra sempre Timothy Dalton che fa 007: non appena lo guardi, te ne sei già dimenticato. E poi: perché Marco Nosotti sembra sempre reduce da 13 Gin Tonic consecutivi? Perché i calciatori si scapperano di continuo, sfiatando dalle narici come cavalli incazzosi raffreddati? E soprattutto: perché Mourinho (a proposito: daje così) aveva la camicia sbrodolata? Ai posteri, e all’amico Nardella, le ardue sentenze.
A lunedì.
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