Non passa inosservato, Dustin Brown, dall’alto dei suoi 196 cm, della carnagione scura che ricorda più la Giamaica, terra d’origine del padre, che la Germania, Patria di passaporto e nascita. Capigliatura “dread” o “rasta” che dir si voglia, a superare metà schiena e andatura dinoccolata, anche quando si sposta da un campo all’altro per effettuare il riscaldamento pre-match o una semplice seduta defaticante. Il tedesco che non ti aspetti ha compiuto 29 anni e centrato il 16 giugno di quest’anno il best ranking di numero 78 Atp (ora è numero 94). L’abbiamo incontrato a Vercelli, in occasione del Challenger ospitato presso l’AT Pro Vercelli e risentito prima della partenza per gli ormai prossimi US Open.
Dove e come nasce la scalata?: “Ho iniziato a giocare a tennis a 5 anni, in Germania, quasi per scherzo. Non ricordo il primo maestro, quindi non doveva essere un fenomeno. L’attuale e anche il primo vero risponde al nome di Kim Michael Wittemberg. Da piccolo mi piacevano anche il “soccer” e la pallacanestro – ricorda – ma con la racchetta potevo fare più cose, dar libero sfogo alla creatività”. La stessa che oggi sfoggia, nei fatti, con stringhe di colore diverso alle scarpe.
Perché?: “Perché no – risponde con un sorriso a largo raggio – ho iniziato a farlo alcune stagioni fa e la cosa è piaciuta. Il pubblico mi riconosce anche per questo. Fare spettacolo non mi dispiace e questi momenti coreografici ne sono parte”.Per molte stagioni Dustin ha gravitato nelle retrovie del tennis che conta, muovendosi nel circuito minore (Futures) nella veste di autentico giramondo. E con un camper.
Quanti chilometri hai fatto e che sorte ha avuto il mezzo?: “Migliaia e migliaia, difficile quantificarli. Oggi ce l’ho ancora ed è parcheggiato a casa. Quando torno lo guardo e mi tornano in mente mille ricordi”.
Belli o brutti?: “E’ stato un periodo della mia vita difficile ma fortificante senza il quale non sarei arrivato dove sono ora”. Nel 2013 il terzo turno a Wimbledon, battendo anche l’ex numero 1 del mondo Leytton Hewitt.
Il match più bello di carriera?: “Certo tra i migliori, con quelli più recenti che mi hanno visto sconfiggere Isner a Houston e soprattutto Nadal ad Halle, prima di cedere nei quarti in un confronto tesissimo a Kohlshreiber. Bello anche il successo ad Amburgo colto con Verdasco. Contro Hewitt, in ogni caso, quattro set da ricordare anche per lo scenario nel quale eravamo. Wimbledon era e rimane il torneo dei miei sogni. Voglio ancora provare quelle emozioni in futuro. Nel 2014 purtroppo è andata male”.
Un gioco, il tuo, che definiresti come?: “Atipico. Mi piace sorprendere e divertirmi. Quindi attacchi in back, palle corte, servizi piatti alternati ad altri in kick. Un rovescio, ancora da mettere a punto soprattutto quando vengo attaccato, che nelle giornate sì è l’arma in più, in quelle negative mi condiziona”.
Ti arrabbi molto in campo. Fa parte del tuo carattere?: “Sì, non lo faccio apposta. Cerco in ogni caso di accanirmi contro me stesso….risparmiando gli altri”.
A proposito di altri, quali idoli avevi da ragazzo?: “Noah, per la sua storia e il suo tennis. Tanto istinto e gioia di vivere interpretando una parte”. E oggi?: “Tsonga e Monfils. Del secondo conservo gelosamente un autografo”. Parliamo dei big, gli attuali “fab four e affini”. Quale la loro arma segreta?: “Siamo in tanti ormai a giocare bene a tennis ma l’intensità ad alto livello con la quale si esprimono i migliori è la nota distintiva. Figlia di tecnica, grande preparazione fisica, voglia di non mollare mai un quindici, neppure quando sembra perduto”.
Il giocatore che ti ha più impressionato nell’ultimo periodo?: “Wawrinka, ha fatto un salto di qualità assoluto e ad un’età non più verdissima”. Simile alla tua, quindi?: “Un esempio in questo senso per continuare a pensare di poter salire ancora”. Per arrivare dove?: “In stagione vorrei centrare i top 50 e fare bene nei grandi tornei”.
Quando vinci a cosa pensì? “Che il tennis è lo sport più bello del mondo”. E quando perdi?: “Trattasi di gioco infernale, diabolico. Ma io mi trovo bene in bilico e nelle difficoltà. Come quando in Giamaica, a soli 12 anni, aspettavo fuori da un campo che arrivasse qualcuno per giocare”.
Parliamo di regole. Ti definiscono guascone e amante del “buon vizio”, inclusi i players party. Cosa dici in merito?: “Se sei professionista non puoi non rispettare le regole ed io lo faccio pur non negando di amare la vita e le sue proposte allettanti. Bisogna mixare le cose e
farle coesistere”. Come consideri il tennis femminile?: “Non lo vedo spesso, salvo che nei “combined” e non esprimo giudizi assoluti anche se negli ultimi 5 anni ha fatto passi da gigante”. I posti nei quali vai più volentieri a giocare i tornei?: “Il Sudafrica, la Giamaica e…l’Italia. Nel vostro Paese ho sempre giocato bene, soprattutto a livello Challenger. Lo scorso anno ho vinto il 100.000 $ di Genova in finale su Volandri ed ho conquistato anche quello di Andria. Come non amare anche il vostro cibo e le vostre girls”.
Terra o hard? “Il duro, sempre e comunque perché esalta le mie qualità”. A quale ritmo di musica ti piacerebbe giocare?: “Cambio spesso genere, quindi direi a quello che in quel momento maggiormente mi ispira”. Ora via verso un altro torneo senza dimenticare che tra i suoi idoli c’era anche un certo Safin, nobile interprete della bella vita mixata a palline e racchette.