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Tentare di salire sul carro del vincitore quando già è affollato può rivelarsi operazione estremamente ardua e a rischio di mortificanti frustrazioni, ma basta avere avuto in dote dalla natura il quanto basta di faccia tosta a compensare il quanto manca di decoro per non scoraggiarsi, ritentare, e ritentare ancora, anche se una volta sbagli l’aggancio e finisci a mordere la polvere, un’altra ci riesci ma chi sta sopra ti pesta le nocche e un’altra ancora ti stendi davanti al carro sperando che si fermi per non travolgerti, così da approfittarne per guizzarvi sopra, ma quello non frena – si sa che la vittoria corre – e ti arrota: se ti interessa salire lì sopra, metti da parte ogni rispetto per te stesso, fregatene del disprezzo che ti pioverà addosso se riesci nell’impresa, e ancor più del disprezzo se fallirai, e insisti, a dispetto di tutto ciò che ragionevolmente dovrebbe farti disperare di riuscire, anzi, nei limiti di ciò che ti è possibile, fai in modo di lasciar credere a chi guida il carro che averti a bordo gli tornerebbe utile, mentre lasciarti a terra sarebbe un’occasione persa e in fondo pure un’ingiustizia: vanta di aver sempre creduto in lui, esagera in lodi ma non far mancare qualche critica, che però abbia il tono dell’esortazione, e soprattutto millanta doti che non hai, gonfia il curriculum con accorta cura degli aggettivi e degli avverbi, abusa senza pudore di eufemismi e reticenze, glissa su quanto sarebbe motivo di imbarazzo, sennò rivoltalo a dovere per dargli un aspetto decente: insomma, fai come Mario Adinolfi fa da mesi con Matteo Renzi, e non demordere: ti rideranno addosso ad ogni tentativo andato a vuoto, ma a te che importa? O a bordo o nella merda: hai 43 anni, hai rotto il cazzo a mezza Italia col ricambio generazionale e, quando finalmente arriva, corri il serio rischio – più del serio rischio: praticamente la minaccia – di finire nel mucchio degli scarti inservibili: è l’ultima occasione, poi da controversa macchietta da avanspettacolo della politica blaterata sarai declassato a triste fetecchia da talk show di quart’ordine per la miseria di un gettone di presenza, e sarai costretto a contendertelo con un’Alba Parietti o una Flavia Vento, sennò ad arrotondare per bische. Il mondo è crudele e non riesce a cogliere la tragedia personale dietro il comico affanno a non uscire definitivamente dal cono di luce ai cui margini sei aggrappato a dispetto di una ormai irresistibile forza centrifuga: non mollare, non risparmiarti nel metterci la faccia, non farti scrupolo se a tutti sembra in tutto uguale al culo. Può darsi che Matteo Renzi abbia dimenticato la stratosferica figura di merda che gli facesti fare all’indomani delle primarie che perse, quando da furbacchione seppe fare un passo indietro, mentre tu ne facevi uno in avanti e chiedevi a suo nome il Ministero delle Comunicazioni. Può darsi si sia distratto e non rammenti più che uscisti dal Pd per rincorrere l’evanescente miraggio di Scelta civica e per elemosinare il rientro solo dopo aver acchiappato il seggio alla Camera da primo dei non eletti recuperato a fine legislatura. Al Berluschino non fa difetto una faccia rotonda come la tua, quindi è possibile comprenda, chiuda un occhio, voglia fare un’opera di bene e ti prenda a bordo – in fondo sei la negativa del fallimento che il suo azzardo gli ha consentito di schivare, può darsi ti dia uno strapuntino con lo stesso animo grato con cui si accende un cero alla Madonna – e dunque non desistere: ne va della tua vita, e poi, in fondo, torni buono anche come cattivo esempio. Io, per esempio, al mio Michele, che pure è ancora troppo piccino per capire, già l’ho detto: prova a diventarmi una roba simile e ti spezzo le gambe.
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