La mia Ferdown Root **
Nel momento in cui uno ha deciso di mettersi a dieta, dovrebbe smettere di passare davanti alle pasticcerie. Perchè altrimenti non sarà questione di se ma solo di quando. "Verrà un giorno", per dirla con fra Cristoforo, in cui il profumo sarà semplicemente troppo invitante per poter anche solo pensare di resistere. E prima ancora di rendersene conto ci si troverà dentro la pasticceria addentando voluttuosamente il morbido e fragrante impasto di una sfogliatella frolla.Era ormai dall'inizio di quest'anno che, dopo un'attenta analisi delle mie abitudini e dei miei ritmi di fumatore, avevo stabilito che una razionalizzazione di quel bric-a-brac che stava diventando il mio parco pipe si imponeva: troppe pipe e quel che è peggio parecchie di loro comprate d'impulso, senza nessuna necessità di carattere estetico, funzionale o anche semplicemente sentimentale che ne giustificasse la permanenza sui miei scaffali. Pipe destinate ad avvitarsi in quel circolo vizioso per cui non si ha tanta voglia di fumarle e quindi non "maturano" mai sul serio; e siccome non sono mature si ha sempre meno voglia di fumarle.La linea d'azione era quindi chiara: liberarsi (regalando, vendendo, o nei casi più disperati ficcando in una scatola destinata geograficamente alla cantina e mentalmente all'oblio) della zavorra e limitarsi per il futuro a non più di due, massimo tre acquisizioni all'anno. In effetti dopo la pipa del compleanno di aprile l'idea era quella di aspettare pazientemente una nuova meraviglia commissionata a Gilli come pipa di Natale. E magari sarebbe andata esattamente così se non avessi commesso l'errore tipico dell'alcolizzato che sta cercando di smettere di bere o del drogato durante la disintossicazione: se cioè non mi fossi illuso di essere più forte di come in realtà ero e non avessi ricominciato a guardare, dal vivo e su internet, nuove pipe.
All'inizio ero anche ragionevolmente convinto di riuscire a tenere la cosa sotto controllo; ma quando sono atterrato sul sito di JN Barber e ho cominciato a sfogliare l'assortimento di pipe Ferndown ho capito di essermi spinto troppo in là.
Le pipe Ferndown vengono fabbricate a mano in Gran Bretagna da Leslie (Les) Wood, che per venticinque anni è stato maestro argentiere presso Dunhill: nulla di strano quindi che tutte le Ferndown abbiano un elemento in argento, da semplici (per modo di dire) verette a spigot che sono piccoli capolavori di scultura. Il grading delle Ferndown ha la stessa deliziosa assurdità del sistema monetario inglese prima della riforma decimale del 1971: tre finiture (Root, lisce chiare/arancio, Reo, lisce scure e Bark, sabbiate o parzialmente sabbiate nere) e un numero di stelle variabile da uno a tre (ma in qualche caso è presente anche la quarta stella) che però non esprime nè la fiammatura della radica nè le dimensioni della pipa finita, ma la grandezza del ciocco di radica da cui la pipa è stata tratta. Col risultato che ad esempio ci può essere una *** più piccola e/o meno fiammata di una **.
Altro elemento interessante del catalogo Ferndown è che non ci sono differenze sostanziali di prezzo tra le varie finiture o tra le varie grandezze: le pipe un po' più care della media sono o particolarmente grandi o con un lavoro di argenteria particolarmente importante. I bocchini sono generalmente in cumberland per le Bark e in ebanite per le Root e le Reo.
Una pipa in cifre: lunghezza 154mm, altezza del fornello 52mm, diametro interno 21mm, peso 61g.
La cifra stilistica delle Ferndown è abbastanza peculiare: tendenzialmente grandi e massicce, non hanno il palladiano nitore, l'assiomatica essenzialità delle Dunhill e neanche l'estrosità dadaista di certe Charatan. Possiedono la solida, dignitosa, rassicurante pesantezza di una marcia di sir Edward Elgar. Sono pipe in cui la coesistenza tra la solidità e un certo gusto per la decorazione e il fregio non possono non far venire in mente l'estetica vittoriana, questa sorta di postumo periodo barocco inglese: le grandi residenze di campagna in pietra, con le ringhiere ornate da complicate circonvoluzioni di ghisa, gli interni coi mobili in legno massello ma piegato in capricciose linee curve.
Non sono pipe da passeggio,o almeno la maggior parte di loro non lo è: il loro habitat ideale è la poltrona, se di cuoio capitonnè e nelle vicinanze di un camino acceso tanto meglio.
La particolarissima forma del fornello della mia Ferndown
E' una scelta espressiva che professata in tempi di funzionalismo e minimalismo ha quantomeno il pregio dell'andare controcorrente, ma che indubbiamente si muove sul crinale sottile che separa l'eleganza dal cattivo gusto. Per quanto mi riguarda, Les Wood riesce sempre (o almeno quasi sempre) a non superare questa invisibile frontiera, tanto da rendere non solo perdonabili ma anche piacevoli azzardi (come alcune poker panel esagonali di taglia davvero grossa con un misto di facce sabbiate e lisce) che in altre mani riuscirebbero puramente e semplicemente pacchiane.
A questo stesso gusto per l'ornamentazione si deve la predilezione per le forme paneled dei fornelli, declinate però in senso starei per dire opposto a quanto avviene chez Dunhill, in cui la square panel rappresenta davvero - e scusate il gioco di parole - una billiard al quadrato: se Dunhill lavora per via di levare, Les Wood opera per via di porre, così che tra le sue creazioni abbondano i pannelli esagonali o "misti" (come nel caso della mia) o con pannellature curvilinee.
Sono pipe curate ad olio, e a questo va attribuito il sapore un po' da fritturina (ma che personalmente trovo estremamente piacevole) che le accompagna durante il rodaggio; la mia inoltre ha un tiraggio abbastanza aperto e perfettamente calibrato, che probabilmente si rivelerà prezioso bruciando tabacchi più ignifughi della media.
Gran belle pipe, queste Ferndown. Pipe che evocano Dickens e Oscar Wilde, Joseph Conrad e Poe. Pipe che per me avranno sempre un'ombra peccaminosa, un sottile, recondito, fascinoso retrogusto di trasgressione: e anche questo, a ben pensarci, è tipicamamente vittoriano.