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Terapia sistemica di gruppo: le ultime tre regole.

Da Elisabettaricco

Terapia sistemica di gruppo: le ultime tre regole.Terapia di gruppo: Si conclude questo percorso di confronto e conoscenza tra le regole proposte dal libro Terapia Sistemica di Gruppo e le regole vissute nei nostri gruppi di psicoterapia.

9. Ognuno e libero di decidere quando svelare il proprio segreto o manifestare le proprie emozioni. L’atteggiamento del terapeuta si mantiene caldo e stimolante ma capace anche di autorizzare le persone a vivere le proprie difficoltà nell’aprirsi. Questa difficoltà nell’autosvelamento viene comunque dichiarata esplicitamente e non taciuta. In particolare nel lavoro con soggetti portatori di esperienze di trascuratezza è elevato il rischio di confondere il rispetto con il rinnovarsi di una condizione di trascurezza. Particolarmente nelle sedute di gruppo, la coazione a ripetere che porta alcuni pazienti a rintanarsi in una sorta di invisibilità, deve essere gestita con comprensione per la fatica, ma anche con un certo grado di spietatezza necessaria almeno per dichiarare esplicitamente quella condizione come non funzionale o quantomeno problematica in quanto coatta.

Gruppi Psises. Libertà di raccontare quello che si vuole, ma continuo stimolo a fidarsi e lasciarsi andare gradualmente alle emozioni. Chi arriva al gruppo spesso è spaventato e sorpreso e nelle prime sedute fatica a capire e ad inserirsi. Il percorso all’inizio è delicato, instabile, ricco di perplessità. Solo in seguito si comprendono gli altri e le storie raccontate prendono forma, collocandosi nel progetto terapeutico comune. Gli invisibili sono invitati a comunicare su ogni dinamica per abituarsi a sfidare resistenze e paure, ma anche per abituarsi alla relazione empatica.

10. Nelle sedute si usa il “qui e ora”. Viene svolta un’azione costante di chiarificazione del processo, come capacità di tornare sui propri passi per capire, uscendo dalla dinamica dell’acting-out. L’uso del “qui e ora” è stato connesso, agli esordi della sistemica, con il concetto di scatola nera, manifestando così una implicita rinuncia ad indagare cosa accadesse dentro la scatola nera stessa. Per quanto ci riguarda siamo assolutamente consapevoli che il funzionamento di un individuo ha a che fare con il suo stato interno nel qui e ora. Questo stato interno attuale, con particolare riguardo per le attuali descrizioni di tipo identitario e di significato si sono formate in un “là e allora” che spesso non è percepito come passato e lontano nel tempo, ma che mantiene soggettivamente attuale un contesto di significazione passato. L’utilizzo del “qui e ora” si pone così come punto di inizio e strumento per rendere percepibile questa specifica differenza con il là e allora. La presa d’atto più completa del “qui e ora” consente di ridefinire il significato delle azioni e delle relazioni.

Gruppi Psises. L”utilizzo del qui e ora e di tecniche gruppali in cui il paziente sperimenta scambio di ruolo, possibilità alternative, condivisione di vissuti, viaggi nel tempo, utilizzo del corpo, sculture… sono la norma, ma si cerca di mantenere una modalità di conduzione che permetta la co-costruzione cercando di allargare le possibilità: il “là e allora”, qualora emergesse, presentificato dal compagno di gruppo, può divenire momento di alto contenuto empatico condiviso.

11. Nelle sedute tutti si impegnano al non giudizio. Coerentemente con le nostre premesse, i partecipanti al gruppo vengono invitati preliminarmente ad astenersi dal giudizio e vengono avvertiti che una delle funzioni dei terapeuti è precisamente quella di non permettere atteggiamenti giudicanti. Ovviamente nel corso delle sedute vengono in realtà manifestati costantemente giudizi da parte dei partecipanti. L’avere però esplicitato preliminarmente la disfunzionalità di questo attteggiamento consente di problematizzarlo in maniera non giudicante per comprendere le ragioni profonde del giudizio stesso. Questa ricerca spesso rivela che le parti che vengono giudicate fuori di noi corrispondono a parti di noi stessi che reprimiamo e giudichiamo duramente. Liberare queste parti compresse consente l’accesso a gradi di libertà maggiori sia nella relazione con se stessi che con gli altri.

Gruppi Psises. Concludo questo gioco di confronto tra le regole di questo importante libro e i nostri gruppi, specificando che le sfumature di differenza sono figlie come già detto di una differente modalità di costruzione dei gruppi e di stili terapeutici. Anche per quest’ultima regola siamo praticamente in linea con il libro. Mi sembra che cambi solo la narrativa, il modo di descriverla, nel senso che, nei nostri gruppi si chiede di essere giudicanti e non filtrarelele  comunicazioni ritenendo  impossibile, come evidenziato, che non emergano giudizi, spesso figli di proiezioni del proprio vissuto intrapsichico. Quello che viene continuamente ricordato è che la comunicazione in generale e quella giudicante in particolare è un’ipotesi della persona che comunica sul vissuto di un’altra (in nessun modo una verità assoluta)  e che questo sforzo di tirare fuori una comunicazione relativa al vissuto del compagno di gruppo è, aldilà del contenuto, un interesse concreto alla persona. Una benedizione visto che nel mondo reale le persone che si interessano a noi e che comunicano con un ottica emotiva e costruttiva su un nostro problema si contano sulla punta delle dita e se si raggiunge una mano, è già un successo relazionale, sociale. Inoltre si sottolinea che il non filtrare apre all’inconscio e che la cura è spesso nella coscientizzazione di queste parti di comunicazione all’altro e sull’altro, nel senso che furoi dal gruppo il conoscersi deve portare alla razionalità derivante dall’aver potenziato il proprio IO in seduta.

Gruppi Psises. Conclusioni. Ci sono alcune regole che vorrei aggiungere. Le regole vanno vissute con l’idea che una regola è un’ idea del modello terapeutico, ma che può essere messa in discussione con la piena responsabilità di chi la sfida.La sfida diviene idea gruppale su cui discutere e il suo non rispetto diventa comunicazione e informazioni e non pretesto per giudicare.

a. Prima dell’arrivo dei terapeuti non comunicare, sorridere, scherzare, per evitare un detensionamento e perdere in concentrazione. Questa regola è continuamente sfidata e di solito la persona che tende a parlare prima dell’inizio della seduta è piuttosto silenzioso in seduta.

b. Alla fine della seduta, non disperdere il contenuto della stessa, cercando per una trentina di minuti di non incontrare nessuno, per riflettere con se stessi e far decantare la stessa. In realtà questa regola/invito è utilizzata anche per i pazienti in seduta individuale e consigliata anche alle coppie alla fine dell’incotro.

c. La fine di una terapia di gruppo è possibile, come ogni altra forma di terapia, in qualsiasi momento il paziente lo ritenga opportuno. E’ importante seguire, ove possibile, una modalità in cui preavvisando i terapeuti ed effettuando un’ultima seduta, si possa salutare i compagni di percorso e ricevere ultime indicazioni per il proseguo del viaggio di vita. Abbiamo salutato diversi partecipanti in questo modo e in qualche maniera restano nel cuore e nella storia del gruppo. Purtoppo a volte, capita che la persona che lascia il gruppo non sente la necessità e la voglia di salutare i membri. Questa modalità è possibile, come dicevamo fa parte delle sfide alla regola. In questo caso il gruppo, nella seduta in cui viene comunicata la decisione, fa comunque un giro di comunicazioni sulla sfida/fine del percorso, che vengono considerate come comunicazioni alla parte interiorizzata del compagno e di cui inevitabilmente se ne sente la perdita.


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