Magazine Coppia
La raggiungo al mercatino solito, quello che offre prima scelta a prezzi insolitamente bassi, quello che solo lei poteva scovare in una città come questa dove i monoreddito fanno la fame per poter pagare l’affitto, dove vivere è sempre più difficile per i single che magari sono felici da liberi ma che per campare dignitosamente si devono unire a qualcun altro, e per forza.
Provo a chiamarla al cellulare e non risponde.
Chissà dove si è cacciata Terry la dolce, mimetizzata da qualche parte fra carciofi, patate e pomodori, magari in conversazione con il salumaio, quello giovane e galante che per farle aprire il portafogli tira fuori il meglio del suo repertorio di complimenti, che sorride alla vista di quell’abbigliamento demodé dai colori sgargianti, a quel modo di fare così diverso dalle altre.
La vedo che arringa in piedi su un cartone traballante che muove le braccia e spalanca gli occhi, non sento le parole che pronuncia ma ho la netta sensazione che sta combinarne una delle solite.
Mi faccio largo fra la gente carica di buste, fra bambini urlanti niente affatto soddisfatti dell’ovetto ricevuto, e piove pure, come se non bastasse l’ansia della Pasqua fuori porta del solito chiacchiericcio dei parenti, di quelle domande di circostanza cui si deve per forza e falsamente rispondere, come se andasse veramente tutto bene, come se lo tsunami e le guerre fossero già roba lontana e mai ci toccheranno.
Faccio in tempo a prenderle un braccio e a trascinarla da un’altra parte prima che il macellaio si avvicini a lei con in pugno un lungo coltello.
«Ma che fai Teresa? Ma sei ammattita forse?»
Lei mi guarda e capricciosa vuole tornare indietro e dirgliene quattro, vuole chiamare polizia e i carabinieri a cavallo, andare lì a spiegare ancora le sue ragioni, raccontare il perché uccidere un povero agnello oggi, non ha più senso.
Ricorda la Pasqua della sua infanzia, la Pasqua legata a un preciso “credo”, quella imbevuta solo e soltanto della tradizione cristiana, preceduta dalla Quaresima, rispettosa del rigore della preghiera, dei silenzi nell’attesa del perdono.
Quasi piange Teresa per la perdita di senso, per lo svuotamento di contenuti che anche in questa festività lei coglie, lei che lavava i piedi ai frati al buio della cripta, che mangiava di magro e non consumava lieviti, che pregava per i peccati suoi e di sua sorella, sempre indegna al cospetto del grande sacrificio, di quella crocifissione scelta, di quella morte assurda.
E oggi inorridisce al pensiero dei poveri agnellini, nati già predestinati alla morte, concepiti dall’allevatore già distesi sul piatto dell’italiano grasso, lo stesso che passa sul cadavere dell’altro per raggiungere il suo misero obiettivo, che non recita più il Padre Nostro o se lo fa prega distrattamente perché raramente si reca alla messa, perché rispetta la tradizione solo quando gli gusta.
Come certi capi di stato che inneggiano alla sacralità della famiglia mentre mettono le mani addosso a minorenni nella speranza che l’antico vigore rinasca per incanto.
Che c’entra ora l’agnello in una società dove ci si manda a fanculo l’un l’altro con tanta leggerezza, dove nessuno più domanda scusa, in una comunità che non risponde alle e mail e figuriamoci al saluto, dove la sola possibilità che hai per salvarti è aderire alla volgarità dei tanti.
Perché mettere sul fuoco la sua carne magra, già piena di veleni per un allevamento forzato, perché mettere in casseruola per povero agnellino sparato con un colpo alla testa, gli occhi scuri spalancati, conscio di un sacrificio che non ha senso alcuno, forse come quel poveretto che speriamo sia resuscitato veramente perché in caso contrario, mi domando chi glielo ha fatto fare.
Teresa ha amato e ama ancora Gesù Cristo il rivoluzionario, quello che diceva cose che ancora oggi uno innoridisce: amatevi l’un l’altro e porgi l’altra guancia, mi viene quasi da ridere se accendo la tv, uno addosso all’altro a spararla più grossa, uno contro l’altro perché vincano anche le ragioni più assurde.
Ha amato e ama ancora quell’uomo ancora più sottile appeso alla sua croce, e le ferite di lui, e il sangue che di là dalle candele di qualunque chiesa brillano di un rosso intenso da far male al cuore.
E ogni volta le vien voglia di salire fin lassù e slegarlo, di sfilare quei chiodi che da sempre lo tengono fermo, in perpetuo ascolto delle preghiere di chi cerca conforto, di chi non sa come pagare il mutuo o come curare un figlio.
Certo mi dice la voce ancora velata di pianto, faremmo meglio a domandare tutti insieme a quell’uomo che dice di avere un padre così potete, che un fulmine possa incenerirli tutti quanti i malviventi, quelli che mettono via troppo denaro togliendone ad altri, quelli che il potere ha reso egoisti e anche quelli che, si dicono di fede e tirano via la mano di fronte al mendicante.
«Dimmi tu ora che c’entra l’agnello, che cosa può fare la povera bestiola in questa Babilonia, in questo mondo dove è morto e sepolto il rispetto per l’altro, in questa nazione senza dignità e senza vergogna!».
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