Magazine Poesie
Teresa Ferri - Precipizi di luce, Dialoghi con Aligi Sassu - Interlinea, 2012
La pittura è poesia silenziosa e la poesia è pittura che parla, dice Simonide nell'epigrafe a questo libro. Due delle arti che non si sono incontrate molto spesso, a parte qualche eccezione che possiamo trovare anche su questo blog (v. QUI e QUI). Linguaggi diversi, che richiedono al fruitore sensibilità diverse, e che hanno tra loro un rapporto per così dire sbilanciato, anche se ci si limitasse al banale fatto che la pittura propone l'immagine a chi guarda, la poesia deve suscitarla in chi legge, la prima usa la luce (una luce che precipita, dice Ferri), la seconda la voce. E che diversi tra le due espressioni sono la libertà di interpretazione che lasciano al destinatario, nonchè il loro contesto artistico, il loro porsi nei confronti del mezzo, del luogo, dello spazio. La "traduzione" in versi di un'opera figurativa non è facile. Gli approcci possono essere molto diversi, e alcuni di essi sbagliati: la soggezione nei confronti dell'opera stessa, la tentazione di "parafrasarla" o di darne una versione in versi didascalica, o peggio ancora di "verbalizzarla", spegnendone di fatto le suggestioni più preziose. Oppure, di converso, se ne può raccogliere a cuore aperto l'ispirazione, lasciarsi possedere, trarne qualcosa di vitale, di artisticamente diverso ma non distante, qualcosa che "risuoni" anche senza usare l'immagine come testo a fronte. Insomma un altro oggetto d'arte che nasce da una catena di suggestioni, analogie, associazioni del pensiero, echi della mente o del cuore, e anche dalla apprezzabile ambizione di gettare un ponte quasi sinestesico tra due modalità espressive. Mi pare di aver rinvenuto queste ultime qualità in parecchi dei testi di questo libro di Teresa Ferri, libro che è nato da una vicinanza, da una prossimità non solo geografica ma anche sentimentale: la raccolta di oltre 200 opere di Aligi Sassu che il collezionista Alfredo Paglione ha donato ad Atessa, città natale di Teresa, e che è ospitata nel palazzo che fu della famiglia Ferri. Ne è uscito una sorta di inconsueto catalogo poetico, un "come lo vedo io" molto personale, in cui 50 tavole di Sassu trovano riscontro in altrettanti testi, in essi si riflettono e da essi ricevono un riflesso di parole, qualche nuova chiave interpretativa delle implicazioni metaforiche o di quel limes tra mito e realtà, tra antico e moderno così caro a Sassu.
Come l'acqua nel fuggire, 1973
Il tempo
La corsa disperata
dei cavalli
non solleverà l'onda
di quel cielo
che col mare si confonde
perché più in fretta
l'acqua
raggiunge la sua riva.
Chiuso nel quadrante,
il tempo
morde brandelli a strappi
d'ore e nanosecondi.
Smagrisce l'ombra
stampata su parete,
sempre più labile ogni orma
di zoccoli in fuga verso
una domanda, un segno,
un punto fermo, un verso.
Isola perduta, 1974
A sera
Geometrie variabili
di un viaggio attraverso
anafore radicate negli anni,
incognite di ieri
e di domani a riva
dove serpeggiano domande,
sterpi senza più senso,
buone neppure ad accendere i falò
quando s'annuvola la luna.
Lacrime piange l'isola
dall'afa disseccate
e sempre più lontana
chiama desolata.
Cala la bruma a sera
che ogni volto amato
imprime sulla cera
o stampa sul soffitto
in armonia d'azzurri
a ricordare approdi
d'innocenze antiche,
a riportare intatti
vagiti sbalorditi.
Il ritorno, 1927
Appagamento
La ruota di un carro
- vittoria -
raggi di sole
a incurvare le spalle
che reggono il peso
di una luce accecante,
la meta sognata
o la vita che stanca.
Muovono i passi
e danzano lenti
verso il drago che aspetta
di ubriacarsi dell'ombra,
un riflesso carminio
ritagliato su strada
che imbionda di grano
il lavoro, le attese
forse l'oro dell'arte o di terra sudata.
La poltrona verde, 1933
Prima e dopo
Fisso l'occhio rapito
guarda ancora in avanti,
imbriglia i ricordi,
affabula miti
rincorsi lungo strade
di terra e di cielo,
archetipi antichi
segni nuovi su tela
intinti nell'oro,
graffiti preziosi
che scoppiano in sguardi
ammirati e stupiti.
Fermo l'uomo assiso sul podio,
quella verde poltrona
che tutti contiene
i sogni sbocciati o solo cullati.
Alle spalle il suo ieri,
lui ragazzo già stato
che intenso il suo rosa
a lenti sorsi assapora.
Due vite racchiuse
in tramonto che luce,
che luce di rose
in boccio e dischiuse.
Gli attori, 1934
Inconsapevolezza
Tutti fermi,
di rosso vestiti,
sulle labbra il copione
da mettere in scena
in attesa che il regista
dia il segno d'inizio
che - non lo sanno -
già vivono intenso
di passioni, segreti,
svelamenti improvvisi.
Quel vento senza volto
già li muove sul palco
e negli occhi gli esplode
in luce di polline
e fuoco
su quei volti segnati
da emozioni discordi
che una tela dipingono
di musica e sensi.
Si gira.
Il vero col falso s'alterna
in dramma di vita.
Le tre grazie, 1940
Manifesto
D'ironia si colora
il segno,
modelli rovescia e canoni
in quelle sgraziate forme
di deità e bellezza.
Identità mancate,
senza pudori e veli.
Acuto penetra il mondo,
il segno,
lo scheletro ne svela.
Imperfezione, iperbole,
disarmonia crescente
a scrivere la morte
d'ogni classico mito.
Asperità di vita
e
a fior di labbra il riso.
Chitarrista (Helenita), 1957
Addio
Rovesciati all'indietro
gli occhi stanchi
d'inseguire chimere
sull'azzurro screziato,
pagliuzze d'oro
di sogni alle spalle,
immobile culla
il suo disincanto
(hanno spine le rose)
e dalle labbra
in smorfia incurvate
esce forse un nome
o invisibili bolle
di rimpianti ballerini
disseccati dal tempo
si disperdono all'aria.
Anna Teresa Olivares, 1962
In filigrana di luce
Al limite estremo del dire,
là dove ogni gesto si tace
e il passo s'ovatta di neve,
là dove rete di sole
sfilaccia silenzi filati
da mani di cera,
in una quiete di colma misura
gelosa trattiene
tra le ciglia serrate
la luce tutta rubata al mistero
in suoni e profumi
per il mondo stillata.
D'un pudico riso
sapiente di stelle
s'imperla il segreto
su labbra di seta,
s'inarca dall'oltre
e in filigrana trapassa
ogni varco stregato
che separa dal cielo.
È sfida ai tramonti
smorenti d'un lampo
e d'ignoto si veste
su pentagrammi e su scale.
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