TERMOLI. È programmato per sabato 14 settembre 2013, alle ore 18,30, presso l’Officina Solare Gallery di Termoli il debutto molisano per la mostra di pittura di Danielle Villicana D’Annibale dal titolo “Mimì, Cocò & Co”. L’esposizione, a cura di Matilde Puleo, Angelo Andriuolo e Francesco Giulio Farachi, ospiterà una selezione di circa trenta opere dal 2003 al 2013, di cui venti inediti.
Si tratterà di una personale molto attesa che presenta il percorso astratto dell’artista californiana nell’ultimo decennio di attività, una sorta di “ready-made Dada Pop”, e proseguirà, a ingresso gratuito, fino a giovedì 26 settembre 2013.
Nel corso del vernissage Danielle sarà presentata da Angelo Andriuolo e Francesco Giulio Farachi, esperti di arte contemporanea. Il catalogo include testi critici dello stesso Farachi e della critica e storica dell’arte Matilde Puleo.
L’artista: Danielle Villicana D’Annibale è una personalità vivace e poliedrica. Musicista, teatrante, studiosa d’arte, pittrice, scultrice, ceramista, scenografa, curatrice e gallerista, ella ha preparato la mostra ospitata nella galleria termolese ispirandosi ai pensieri di Marcel Duchamp e Francis Bacon; la sua personale che da evento espositivo si trasforma in gioco teatrale, grazie a dipinti informali in cui la materia densa e lacerata dialoga con la tridimensionalità dei pacchetti di sigarette e di zucchero, o con i blisters di medicinali, andando a creare un linguaggio complesso e distintivo.
La mostra ha protagonisti: Mimì (pacchetto vuoto di zucchero), Cocò (blister vuoto di medicinali) e Co. (pacchetto vuoto di sigarette). Oggetti all’apparenza privi di valore, che acquistano nuovi significati tutti da scoprire a partire da sabato prossimo.
PRESENTAZIONE
di Francesco Giulio Farachi
Possiamo noi vivere felici? Parafraso a bella posta il titolo d’una delle opere che oggi Danielle Villicana presenta in questa piccola, ma poco discreta, rassegna. E possiamo sempre noi trovare un equilibrio, o un comune denominatore, fra gli stimoli diversi e incongrui che dilaniano la nostra psiche, che condannano a vieti stereotipi i nostri comportamenti, che ci assalgono, terzi incomodi e inopportuni, follemente sconclusionati come tanti Mimì e Cocò a presentarcisi sempre dinanzi a proposito e a sproposito, inopinatamente e bovinamente a perseguitare le nostre esistenze tormentate?
Eccoli lì gli spauracchi, i leviatani di questo nostro presente. Psicofarmaci per la nostra tranquillità interiore, quel tanto di vizio rassicurante nel fumo leggero e assassino di una sigaretta, la bulimia iperglicemica dei nostri pasti e dei riti sociali, una civiltà che si compone di assemblaggi e tessere, un po’ di questo e un po’ di quello, la ricetta e il dosaggio per tirare avanti. Magari con un inalterabile sorriso sul volto.
Danielle Villicana con spietata leggiadria compie dunque un’operazione complessa, lancia un sasso nello stagno di quel nostro sorriso e, perché no?, anche del nostro tormento. Dicevo che questa esposizione è poco discreta. Anzi non lo è per nulla. Con orma festosa, entra dagli occhi, lacera i veli del nostro disincanto, ci toglie la maschera rassicurante dello spettatore e ci conduce nel teatro dei giorni nostri per farci ritrovare al centro d’un palcoscenico allestito dove incontriamo sempre le nostre paure, la nostra ignavia, la nostra gioia drogata, la nostra inconsapevolezza e la nostra ragione. La scoperta, ancora estetica, ma non più estatica, del mondo che noi facciamo.
Perciò in questa mostra Villicana si misura con elementi tangibilmente oggettuali. Non si tratta più, come fecero cubisti e surrealisti, di acquisire all’empireo dell’Arte biglietti del metrò e i pacchetti delle gitanes; e neanche, come Pop Art insegna, di rintracciare il fantastico preconfezionato nell’oggetto di consumo e nel kitsch; non si tratta neppure del lavoro di scelta e ri-generazione del puro ready-made; o di quello di raccolta dell’oggetto ritrovato e della sua poetica (anch’essa ritrovata), come nei novo-realisti. Significativo è invece l’utilizzo delle confezioni, che sono anche, ma vanno oltre, il prodotto che racchiudono: in questa metonimia contenente-contenuto Villicana attua la rappresentazione non solo di una realtà del mondo ma anche delle forme e connessioni che tale rappresentazione assume. Le confezioni sono veicoli di messaggi ulteriori e sovrapposti, come nei pacchetti di sigarette (fra l’allettamento visivo della grafica e, di contro, l’intento dissuasivo dei messaggi di avvertimento sulla pericolosità del fumo) o come nelle bustine di zucchero (con inviti neanche tanto subliminali al piacere, a godere la dolcezza e la gioia di vita). Non “tutto bene”, non “tutto male”, nelle opere di Danielle Villicana l’equilibrio si tiene sulla dimensione ironica, ludica e partecipativa della composizione, senza superciliosi dettami moralistici né angoscianti prospettive millenaristiche, ma con la dinamica coinvolgente delle cadenze combinatorie, fra la geometria e il caleidoscopio, e nel valore pittorico insito nella qualità fisica dei materiali, in quegli umori cromatici che la manipolazione e l’accostamento degli elementi stabiliscono di volta in volta. L’oggetto, l’involucro, quindi viene preso nella sua connotazione pre-ecologica, direi, non tanto per ricercare la sua “anima”, cioè il suo senso proprio che la contestualizzazione artistica esalti o riformi, ma in quanto emblema di una stratificazione di significati, la cui contiguità e dialettica si riferisce esplicitamente al modo complesso e contraddittorio del vivere moderno. Per rompere ancora una volta il diaframma fra la realtà difficile e l’ingenuità poetica delle nostre visioni.
Francesco Giulio Farachi
PRESENTAZIONE
di Matilde Puleo
A volte la ricerca artistica cerca di accedere alle cose con strumenti di facile comprensione. S’identifica nella conoscenza dei fatti attraverso il canale più immediato e facile della vista, lasciando che l’aspetto esteriore sia l’elemento distintivo di un oggetto. C’è una componente ludica, spesso accompagnata da una discreta dose d’ironia, in quasi tutte le scelte pop e nel ready made storico, di cui molto si è parlato in passato, ma che forse – e specie in Europa – andrebbe ribadita con maggiore enfasi. Se non altro perché la cultura pop ci appartiene ancora, segna il nostro panorama visivo e vive cercando di creare valori nuovi, più densi di significati, più abbondanti. In alcuni casi perfino esagerati. Del pop si rivendica non soltanto la naturale vocazione al divertimento spettacolare, ma proprio la sua funzione evolutiva e paradigmatica. Vocazione sperimentale ed energetica che anche Danielle Villicana ha deciso di avere, assecondando in questo modo numerose sue convinzioni e caratteristiche. Si tratta in sostanza di una questione di scelta stilistica, di sfida e di tentativo personale di superare parametri passati. Si commisura col dato di fatto di non essere un’artista europea e sopratutto con la scarsa spinta al proselitismo, al reclutamento e dunque all’insegnamento morale. Ciò detto, resta innegabile che l’intera operazione di questa mostra e la spiccata attenzione verso sigarette, medicine e bustine di zucchero bianco siano molto di più di strumenti di facile comprensione. Sono ingombri decisi, strutture matematiche, giochi di pieni e di vuoti, composizioni geometriche, uso deciso del colore e presenza forte dell’oggetto che entra a far parte del lavoro. Ma non sono soltanto questo. I pacchetti vuoti e in alcuni casi coloratissimi, di sigarette americane o europee e i dispenser plastificati di pillole che si presumono essere espressione del carattere fortemente medicalizzato di ogni momento della nostra vita, si alternano nello spazio della tela all’altro elemento che di fatto, si relaziona con il problema della dipendenza: la bustina di zucchero bianco, oggi considerata altrettanto nociva e pericolosa. Espressione di una dipendenza che coinvolge ogni momento della nostra vita.
Fumo, medicine e zuccheri, all’interno di una battaglia che non vuole però mai essere quella di un’attivista quanto quella di un’osservatrice dell’ambiguità della vita e del carattere doppio e spesso contraddittorio delle nostre scelte. Tra l’altro, proprio questo recente lavoro di Danielle Villicana, americana d’origine e toscana d’adozione, dimostra con forza quanto una biografia non sia affatto una sequenza di dati o di avvenimenti a cui dare una progressione. Una biografia è piuttosto una questione complessa che molto esige dall’espressione artistica: le chiede di dipanare e d’interpretare ciò che di più oscuro si nasconde in essa col tramite della libertà e della ricerca di verità. Le chiede di rispondere e di manifestare con chiarezza il cosa sta per succedere. Nel tentativo dunque, di analizzare solo qualcuno dei suoi temi, si potrebbe partire da quello che cerca di dare senso alle pratiche quotidiane. Abitudini che, fortunatamente – nel caso di Danielle non sono più nel loro farsi. Non sarebbe stato possibile credo, studiarle dalla parte dei praticanti fumatori, così come del resto, non sarebbe stato possibile farlo al contrario: partendo dal punto di vista del curioso voyeur. Ciò che realizza Danielle è piuttosto un lavoro empatico e di comprensione verso un’umanità che non sa più sciogliere l’ambiguità o capire il doppio senso. Un’umanità soggiogata dalle opposizioni che sembrano caratterizzare la nostra società, fatta di compartecipazione verso il concetto di salute e malattia, vizio e piacere, verità e menzogna, controllo del volere altrui e libertà personale di scegliere. Composta cioè, da uomini sottomessi alla contrapposizione più oscura e complessa come quella tra bene e male.
Si tratta di opere dai toni sgargianti, dalle composizioni ora rigorosamente geometriche ora più scomposte che lasciano correre tra le righe una leggerezza che parrebbe essere una critica alla società dei consumi, ma che in realtà, lascia spazio all’ottimismo un po’ disincantato di Mimì, Cocò & C. Personaggi creati dalla cultura popolare per dare un nome alla doppiezza delle nostre convinzioni, sempre a metà strada tra l’incertezza paralizzante e la presunzione di essere noi il furbo di turno.
Matilde Puleo
ENGLISH VERSION
At times the artistic research tries to access things with tools of easy understanding. It identifies in the knowledge of the facts through the most immediate and easy channel of the sight, leaving that the external aspect the distinctive element of an object. There is a lucid component, often accompanied by a discreet dose of irony, in almost all the pop choices and in the historical ready made, of which much has been spoken in past, but that perhaps, and a species in Europe – should be confirmed with great emphasis. With Pop we claim not only the natural vocation for the spectacular entertainment, but precisely the evolutionary and paradigmatic function. Experimental and energetic vocation as well that Danielle Villicana decided to have, favoring in this way the expression of numerous of her convictions and characteristics. In essence, we are speaking of a matter of stylistic choice, of challenge and of personal attempt to overcome past parameters. Commensurate with the datum of fact of not being a European artist and above all with the inedadequate push to proselytism, to the recruitment and therefore to the moral teaching. Thus said, it remains undeniable that the whole operation of this show and the strong attention toward cigarettes, medicines and little packets of white sugar are very much more than of tools of easy understanding. They are definite obstructions, mathematical structures, games of heights and voids, geometric compositions, definite use of the color and strong presence of the object that enters to become part of the work. But they aren’t only this. The empty packets and in some cases extremely colorful, of American or European cigarettes and the plastic dispensers of pills that we presume to be the expression of the strongly medicated character of every moment of our lives, alternate in the space of the canvas to the other elements, which in fact, is related with the problem of dependence: the packet of white sugar, today considered by many harmful and dangerous. Expression of a dependence that involves every moment of our life.
Smoke, medicines and sugars, inside a battle that never wants however to be that of an activist but of that as an observer of the ambiguity of the life and the double and often contradictory character of our choices. Besides, really this recent work by Danielle Villicana, American of origin and Tuscan by adoption, it shows with strength how much a biography is not at all a sequence of data or events to which to give a progression. A biography is rather a complex matter that many demands from the artistic expression: she asks to unravel and to interpret what darker hides within with the medium of liberty and the search of truth. She asks to answer and to manifest with clarity the what is about it to happen. In the attempt to analyze only someone of her themes, we could begin with by what he tries to give sense to daily practices. Habits that, fortunately, in the case of Danielle, are not practiced anymore. It would not have been possible I believe, to study them from the part of the practicing smoker, as after all, it would not have been possible to do so contrarily: departing from the point of view of the curious voyeur. What Danielle creates is rather an emphatic work of understanding toward a humanity that doesn’t know how to loosen the ambiguity anymore or to understand the double sense. A humanity subjugated by the oppositions that they seem to characterize our society, made of co-partnership toward the concept of health and illness, vice and pleasure, truth and lie, control of other people’s will and personal liberty to choose. Composed that is, from submissive men to the darkest and most complex opposition as that amongst good and evil.
It deals with works from the garish tones, from the compositions now rigorously geometric now more decomposed than allow to race among the lines a lightness that would seem to be a criticism to the society of the consumptions, but that in reality, leaves space to the optimism a bit disenchanted of Mimì, Cocò & C. Characters created by the popular culture to give a name to the double sidedness of our convictions, always half the road between the paralysing uncertainty and the conceitedness that we be the cunning one the moment.
Matilde Puleo