I paesi in cui più s’è concentrata l’acquisto o espropriazione di terreni sono quelli africani e quelli più sfigati come il Congo, il Sudan, l’Etiopia, il Mozambico. In Asia abbiamo seguito le vicende dell’India e dei maoisti indiani che vivono grazie all’opposizione alle espropriazioni delle multinazionali minerarie. I grandi compratori, però, sono proprio gli ex-poveri come, appunto, le multinazionali e il governo indiano, i cinesi , gli indonesiani. Alla ricerca di terreni per coltivare prodotti alimentario anche gli Emirati Arabi che fanno circolare un po’ di soldi petroliferi.
La terra s’acquisisce con la corruzione, facendo partecipi i governanti locali nello sfruttamento delle risorse, ottenendo concessione decennali. Lo scopo è, oltre che sfruttare le risorse naturali (legno, prodotti minerari o preziosi) quello di assicurarsi spazio per i business del futuro che saranno la produzione di alimenti e, con la palla ecologista, di biofuel (a seguito della decisione del’UE del 2008 di coprire il 10% del fabbisogno energetico con prodotti bio).
E’ infatti clamoroso che proprio l’ecologia sia una delle ragioni per sbattere fuori dal loro habitat i contadini, come è successo nella Polocich Valley in Guatemala dove oltre 3000 persone hanno visto perdere terra, acqua e lavoro. Lì sono arrivati con gli elicotteri e i militari. Storia simile a Kisaeawe, in Tanzania. A Gambella (Etiopia), uno dei posti più sfigati del pianeta, lo sceicco Mohamed Hussein Ali (magnate degli Emirati), miliardario e finanziatore della Fondazione benefica Clinton s’è impippato 10.000 ettari di terreno, scacciato i contadini, piazzato guardie armate per coltivarci mais e girasoli. Abbiamo già scritto della Cambogia dove la terra e le case sono state sequestrate anche nella capitale per proseguire la speculazione edilizia.
Presa la terra, ai grandi coltivatori serve l’acqua e tanta per le colture intensive ed ecco il water grabbing, cioè l’espropriazione e il consumo delle risorse idriche, spesso comunitarie. Diritti di proprietà, consuetudini all’uso, documenti catastali sono, in questi paesi, spesso inesistenti. Si è mossa anche, 2010, l’ African Commission on Human and Peoples’ Rights, che considerando il caso della popolazione Endoroi ( Kenya) , ha proclamato di istituzionalizzare e proteggere il diritto tradizionale al possesso della terra. Si è mosso anche UN’s Food and Agriculture Organisation che ha lanciato una mobilitazione internazionale per “sviluppare linee guida per una gestione responsabile della terra e delle risorse naturali”. Chiaramente è restato tutto sulla carta e i contadini senza terra (in costante crescita) ringraziano i ben pasciuti burocrati internazionali.
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