Quel che dà fastidio nell’articolo pubblicato da la Repubblica oggi primo luglio è soprattutto il tono. Sereno, pacato, rilassato. I terremotati se la cavano, i ragazzi della Protezione civile, i volontari si beccano le insolazioni, lo spiega il medico. Insomma i terremetato vanno avanti, qualche difficoltà ma non troppo.
Giovanni Pascoli
Ma davvero? Allora non ci preoccupiamo. Abbiamo letto un bel racconto, rassicurante e bonario e amico delle istituzioni deputate a occuparsi con la dovuta competenza del complicato problema.
Ma i cittadini parlano?
No.
E dove i cittadini non parlano che informazione c’è? Istituzionale. Certo che le istituzioni devono parlare, dire tutto di tutto, senza tener segreti – vecchio viziaccio – ma che una signora appaia all’inizio di un articolo vestita a festa per andare a messa (ovviamente a messa, ma è ovvio) con 40° fa piacere per la signora che sta bene, ma fa arrabbiare. Volete dirci che tuttovabene? Ci si aspettava la risposta alla domanda che cosa succede oggi, non che deve succedere per compiacere le istituzioni. Non era un contropotere il giornalismo? No, non lo è più, ha rinunciato al suo mestiere e i lettori vanno a cercare informazioni sui social network.
Non abbiamo bisogno di conforto. Non siamo fanciullini da mettere a nanna. Non siamo il lettore del Pascoli che va tranquillizzato da tante paure. Non abbiamo bisogno di belle favole per vivere sereni.
Serve un chiaro resoconto dei fatti. Dire come stanno le cose e chiamarle col loro nome.
Noialtri siamo amici del dubbio invece.
Meglio dubitare e andare a vedere. E quel che personalmente ho visto, ascoltato, fotografato e registrato è diverso da quel che ho visto in tivù. I guai ci sono. I terremotati hanno paura certo del calore, ma soprattutto dell’inverno, se non arriveranno aiuti.
Certo che vanno elogiati i volontari. Ma la Protezione civile non può tutto. E non è difficile da credere.
Segue l’articolo, in bello stile, di piacevole lettura, non certo una falsificazione della realtà, ma dal tono a mio giudizio fuorviante e troppo rassicurante. Dove c’è una tragedia e dove c’è urgenza di aiuto, i colori non possono essere tenui.
0.000000 0.000000“Nelle tendopoli insieme a Caronte. Così il caldo record toglie il respiro ai terremotati d’Emilia” di JENNER MELETTI da La Repubblica del 1° luglio 2012
SAN FELICE – La signora Vittorina esce dalla tenda vestita di tutto punto. «Più tardi c’è la Messa », dice. La borsetta in una mano, un ventaglio nell’altra. «Il caldo? C’è sempre stato. Certo, fossi a casa mia…». Una casa di campagna, crollata assieme alla stalla. «Anche nell’ora più calda, sotto il noce, si stava sempre bene. E facevo corrente, fra la cucina e la cantina. I muri erano forti, tenevano fuori il freddo e il caldo». Adesso è arrivato Caronte e la nuova «casa», la tenda della Protezione civile, sembra ancora più fragile. Si usa ogni mezzo, in questa guerra fra i terremotati e il caldo che toglie il respiro. In ogni tenda c’è il condizionatore e molte sono coperte dagli «ombreggiatori ». Ma basta entrare in una di queste case di tela per sentirsi soffocare. «Durante il giorno — dice Marco Cestari, responsabile della Protezione civile di Finale Emilia — non puoi resistere. Con otto persone, dopo poco tempo, anche con il condizionatore devi cambiare l’aria, e se apri la porta o la finestra entra la vampata di calore».
Trentatré gradi a mezzogiorno, poi il termometro sale. I display dei distributori di benzina segnano anche 42 e 44 gradi. Qui a San Felice la tendopoli delle scuole medie è in un parco, a Finale la tendopoli 2 è sul cemento di una pista di pattinaggio. «Può sembrare strano — racconta Samir Abou Merhé, il medico coordinatore sanitario di Mirandola e dei Comuni vicini — ma ad essere colpiti dai colpi di calore sono più i volontari che i terremotati. Se devo fare una statistica, su 10 persone colpite da insolazione ben nove sono volontari o addetti ai lavori. Operano sotto il sole, per montare tende o altri servizi, oppure si trovano sotto una lamiera davanti a pentoloni giganti per dare da mangiare a 500 persone ».
Dopo 40 giorni di tenda ci sono già le abitudini. Ogni anziano sceglie il suo «posto fisso» — a fianco di un container, sotto un albero, accanto alla tenda dell’infermeria — per cercare una fetta d’ombra e un filo d’aria. «Non abbiamo avuto drammi — spiega il dottor Abou Merhé — anche perché gli anziani più fragili, con l’intervento della Regione, sono stati mandati in montagna o al mare. Con loro anche le famiglie con molti bambini. Ma ci sono anziani che non vogliono andare lontano da casa. Dormono in tendopoli così ogni giorno possono andare a vedere il loro appartamento, oppure vivono in un camper nel giardino di casa. Noi andiamo ad assistere anche quelli. I medici di base non hanno più l’ambulatorio ma sono ogni giorno nei campi a fianco dei loro pazienti. Con il sisma, si è rotta però un’alleanza che sembrava inattaccabile: quella fra gli anziani e le loro badanti. Molte di queste donne sono scappate, dopo le grandi scosse e solo poche sono tornate. Per ora gli anziani sono assistiti al mare o in montagna, o sono in tenda assieme ai loro familiari, ma quando torneranno a casa non avranno più l’assistente romena o moldava». «Ogni mattina — racconta Mario Ferrari, capocampo a San Felice — le infermiere entrano nelle tende degli anziani — qui da noi sono una cinquantina — per misurare la pressione, vedere se ci siano casi di disidratazione. Abbiamo avuto un caso stamane, è bastata una flebo per risolvere la situazione». Il caldo porta però tensione e nervosismo. Basta guardare i nomi scritti sulle tende, come fossero campanelli di un condominio. Angiolina, Umberto ed Elvira sono in tenda con Kaur, Singh e Hamza. «Dopo tanti giorni — racconta Fernando Ferioli, sindaco di Finale Emilia — la convivenza si fa difficile. Ma questo succederebbe anche se tutti fossero italiani. Non puoi passare giorni e giorni senza fare nulla, come sono costretti a fare centinaia di cassintegrati e disoccupati. Per togliere l’ansia e la tensione, bisogna dare risposte precise a chi chiede quando riaprirà la fabbrica, quando potrà tornare a casa e soprattutto chi pagherà i danni. Per martedì noi sindaci siano convocati in Regione e il presidente Vasco Errani ci dirà in che percentuale lo Stato rimborserà i soldi per la ricostruzione. Solo così potremo sapere se possiamo ripartire o no. Io per l’emergenza ho già speso 3 milioni che non ho. Per abbattere un solo condominio ho speso 85.000 euro più Iva. Dallo Stato non è ancora arrivato un soldo. Da un paesino dell’Abruzzo, Opi, mi hanno mandato 650 euro, in contanti. Sono 60 abitanti in tutto. Mi hanno fatto piangere».