Abbiamo appreso che l'epicentro del terremoto del 29 maggio scorso, con ben tre scosse di magnitudo superiore ai 5 gradi Richter in appena 5 ore, si è spostato a una decina di chilometri più ad ovest-nord/ovest rispetto al primo sisma del 20 maggio, e che, ancora, la scossa di 5.1 di domenica sera si è verificata ancora più a ovest, nella zona di Modena.
Come si vede da questo grafico dell'INGV, i terremoti sembrerebbero infatti manifestare uno spostamento a ovest, e questo potrebbe fare pensare alla rottura del settore più occidentale della stessa struttura sismogenetica, che non è riuscito a rompersi durante la forte scossa del 20 maggio scorso.
In sostanza, la serie di terremoti che si è verificata nei giorni scorsi, e che continua anche se con eventi di magnitudo inferiore (non si è quasi mai superata la magnitudo 3) e in numero minore (appena 17 scosse nella scorsa notte, fonte: INGV), rappresenterebbe semplicemnete uno "sciame sismico", ossia una continuazione della lunga sequenza sismica che sta investendo l’intera area che dal ferrarese si estende verso la provincia di Modena.
Ma non si può neppure escludere che il forte terremoto di 5.8 Richter verificatosi il 29 maggio scorso, con le due repliche di 5.1 delle ore 13 sia invece riconducibile alla rottura di una nuova faglia, o più faglie, e che dopo le forti scosse dei giorni scorsi, localizzate fra il ferrarese e il modenese, hanno ricevuto la spinta decisa che mancava per poter cedere e rompersi definitivamente, originando la forte scossa tellurica di domenica sera.
L'ipocentro della era a 6,3 chilometri di profondità tra le provincie di Modena (Finale Emilia), di Ferrara, Rovigo e Mantova. Immediatamente dopo venivano rilevati un paio di picchi (il maggiore 5.1 della scala Richter) che colpivano invece leggermente più ad est. Ma a segnare l'andamento in maniera più marcata e nella direzione opposta, cioè verso ovest, era il grappolo di terremoti del 29 maggio (5.8 della scala Richter, il primo) seguito rapidamente da altri due con valori intorno ai cinque gradi (5.3 il massimo). Questa è stata la giornata con il maggior numero di picchi massimi scatenati tutti nella mattinata. L'evento allargava il fronte del sisma di una decina di chilometri raggiungendo così i cinquanta chilometri. Il terzo atto si registra il 3 giugno (con 5.1 della scala Richter). E si manifesta nella stessa area del precedente del 29 maggio, quindi sempre in direzione ovest.
La prima scossa del 20 maggio, la più violenta, è quella che ha segnato l'evento. Tutte le altre che si stanno succedendo sono ritenute la coda del colpo più intenso, e rientrano in un quadro conosciuto e ipotizzabile. Tutta l'area caricata nel tempo si sta rompendo in piccoli pezzi lungo una linea di faglia est-ovest continuando un processo innescato il 20 maggio con la rottura più rilevante. Il punto è che il tipo di frammentazione delle strutture sotterranee dipende dalla distribuzione delle caratteristiche geologiche che i geologi non conoscono e non possono certo immaginare a tavolino.
Ancora è troppo presto per poter dirlo con certezza se si è attivata una nuova faglia, o più faglie limitrofe al bordo più occidentale della sorgente sismogenetica ferrarese. Per stabilirlo con maggiore certezza occorrerà attendere l’elaborazione esatta delle coordinate ipocentrali e del relativo meccanismo focale da parte dei vari gruppi di sismologi al lavoro sul campo. Una volta effettuati questi rilievi i sismologi saranno in grado di poter stabilire se la sequenza sismica, spostandosi più verso occidentale, nel modenese, abbia coinvolto un nuovo sistema di faglie già notevolmente sovraccaricato dai terremoti di questi ultimi giorni.
In sostanza, non è ancora possibile dire con certezza se i terremoti stanno cessando o se invece continueranno, perchè come non ho mancato di sottolineare più e più volte, i terremoti per loro stessa natura non sono prevedibili, non si può prevedere né dove colpiranno, né quando, né con quale intensità.
Però nei giorni scorsi parlavamo appunto dell'Arco di Ferrara, considerato oramai a pieno titolo come il "motore" di questi terremoti, e dicevamo che non tutto l'Arco è "attivo", ma solo la porzione che da Ferrara si estende verso Modena...esattamente la pozione che ha prodotto i terremoti. La rimanente porzione, che da Ferrara si estende verso est, verso il Veneto e il rodigino, per intenderci, appare invece stranamente in silenzio, e non ha prodotto finora alcun sisma, nemmeno di bassa intensità.
C'è da star tranquilli, dunque?
No, perchè in primo luogo anche il Veneto è una regione ad un certo rischio di sismicità, e le mappe presenti su internet lo dimostrano chiaramente, e in secondo luogo perchè non è detto che, anche se non si verifica un terremoto, qualcosa sottoterra non accada.
E purtroppo ciò che sta accadendo è sotto gli occhi di tutti.
In Polesine infatti sono stati scoperti dei «punti di liquefazione» che corrispondono a fratture e fessure del terreno, accompagnate talvolta da sabbia fuoriuscita e depositata ai lati. Qualcosa di molto simile a quanto si è visto nel paese di San Carlo o a Cavezzo.
La liquefazione del terreno in Emilia ha generato anche dei piccoli vulcani, che sarebbero stati proprio alla base del cedimento delle costruzioni nei paesi sopra nominati. Si tratta di piccoli vulcani di sabbia, che costituiscono un fenomeno molto particolare, e che si formano quando nel sottosuolo ci sono molti strati di sabbia e di argilla e una quantità ingente di acqua. Il fenomeno è quasi naturale in Pianura Padana, che è caratterizzata da strati di argilla, sabbia e acqua. Gli studiosi stanno analizzando questi fenomeni, anche per riuscire a saperne di più sulle modalità in cui si sono svolti il terremoto del 20 maggio e le scosse del 29 maggio scorso. Però questi "vulcani di sabbia" si verificano in zone limitrofe all'epicentro, e in presenza di terremoti molto violenti. Qualcosa del genere si verificò a Fukushima, in Giappone, dove si verificarono fuoriuscite di acqua limacciosa e fanghiglia dal sottosuolo, in presenza di terremoti di magnitudo 5.9.
Eppure la liquefazione del terreno ha avuto luogo anche qui, segno che il sisma ha attaccato soprattutto le profondità della Pianura Padana, e molto più intensamente di quanto ci si potesse apettare inizialmente. Ricordiamo infatti che le scosse ebbero una profondità abbastanza contenuta (10 km), mentre a Fukushima la profondità era di 50 km.
Nei giorni scorsi invece sono stati riscontrati punti di liquefazione in Polesine, viste come macchie biancastre abbastanza facili da individuare dall’alto. Dopo la scossa del 29 maggio ne sono state riscontrate moltissime anche recentissime. Roberto Cavazzana, vicepresidente dell’ordine dei geologi veneti reduce da un sopralluogo in elicottero condotto insieme a una squadra di colleghi volontari, ha definito la scoperta come "fenomeno allarmante e finora inedito, perchè si tratta di conseguenze sul terreno poco note alle nostre latitudini, o conosciute soltanto dai tecnici, ma ben documentate dai sismologi in Giappone".
C'è però una domanda che sorge spontanea: non sono mai stati riscontrati sismi nella zona di Rovigo, dunque da dove provengono i punti di liquefazione? Cosa li ha causati allora? E' stato un effetto legato alle scosse Emiliane? Oppure qualcosa sta accadendo anche nelle profondità del Polesine?
Purtroppo è molto difficile dirlo, sono cose a cui è difficile, se non impossibile, dare una risposta certa, ma speriamo che non succeda nulla di grave. Quel che più fa pensare, però, è lo strano silenzio che interessa in Polesine: nessuna scossa, nessuno strano movimento, solo la consapevolezza che il terremoto non è finito, e non finirà tanto presto...