Il “tedesco” Dieter Rampl non si ricandiderà alla presidenza di Unicredit. La decisione è arrivata nel corso
di un consiglio di amministrazione drammatico, nel corso del quale il banchiere tedesco ha dovuto prendere atto del mancato sostegno dei soci alla sua rielezione la prossima primavera, quando ci sarà l'assemblea di bilancio di fine maggio. Il Consiglio di Amministrazione durato oltre sei ore, ha visto la partecipazione di Farhat Omar Bengdara, ex governatore della Banca centrale libica, tra i grandi soci della banca anche dopo la diluizione a seguito del recente aumento di capitale da 7,5 miliardi (nella compagine azionaria c'è anche il fondo di Abu Dhabi, Aabar, come maggior socio col 6,5%). Leonardo Del Vecchio (Luxottica) ha confermato di aver raddoppiato la sua partecipazione. Si segnalano poi i recenti ingressi, non ancora ufficializzati, di Francesco Gaetano Caltagirone e di Diego Della Valle, a fianco delle fondazioni. Una delle indicazioni emerse dalla riunione è che Unicredit andrà avanti sulla soluzione Unipol per Fonsai (gruppoLigresti). Nel corso della riunione è stato fatto un aggiornamento sullo stato dei lavori sul gruppo Fonsai, del quale la banca è creditore e azionista.
L'uscita di Dieter Rampl - già amministratore delegato di Hvb, l'istituto bavarese comprato da Unicredit nel 2005, chiude definitivamente una stagione per Unicredit, che poco più di un anno fa aveva visto l'estromissione del suo amministratore delegato,l'ultranoto Alessandro Profumo. Rampl, una decina di giorni fa al Forex di Parma, aveva chiesto il favore unanime degli azionisti alla sua ricandidatura al vertice. Un sì che però non è arrivato. La sintetica nota diffusa nella serata di martedì lascia trasparire l'esito del confronto con il nucleo storico degli azionisti, Fondazioni in testa. «Il presidente Dieter Rampl - si legge - ha informato il Cda di non essere disponibile per un ulteriore mandato». Si apre ora un'altra partita cruciale per la seconda banca italiana, già messa alla prova negli ultimi mesi da una ricapitalizzazione da 7,5 miliardi, la più imponente mai realizzata in Piazza Affari e alla fine superata con successo. Secondo il Sole 24 Ore, la mossa “apre così ufficialmente la corsa alla presidenza di UniCredit. Il vicepresidente Fabrizio Palenzona ha escluso nelle scorse settimane una sua candidatura, tuttavia secondo alcune fonti si potrebbe andare proprio in quella direzione”. Altre fonti avanzano la candidatura dell'attuale direttore della banca d'Italia Saccomanni o del prof.Gros Pietro. Ma sarebbe Fabrizio Palenzona, che dentro il consiglio di amministrazione dell'Unicredit è il rappresentante della Fondazione Crt (Cassa di Risparmio di Torino) ad avere maggiori chance di prendere in mano l'Unicredit. E Palenzona è un nome e un uomo ingombrante. Il movimento No Tav ha curato un corposo dossier su questo corpulente banchiere bene ammanicato con la politica.
Il dossier dei No Tav su Fabrizio Palenzona: “Chi era costui?”
Sabato 23 settembre, ci informano le cronache, il personaggio in questione ha pronunciato una delle frasi chiave del suo peraltro non ricchissimo repertorio linguistico: “La ricreazione è finita” intendendo con questo significare che i Valsusini (Cittadini e Amministratori) se ne devono fare una ragione: la nuova ferrovia Torino Lione va fatta e sarà fatta.
Dov’è la notizia? Potrebbe essere questa la prima legittima reazione del cittadino-medio della nostra valle bombardato ormai da mesi dalla massoneria di mezzeuropa con toni forse un po’ più eleganti, ma ugualmente perentori.
Come spesso accade la notizia non sta però nella frase, ma in chi l’ha pronunciata (chi è costui…); tantopiù che il nostro è ripetitivo: “ La ricreazione è finita, i tempi lunghi sono un ricordo del passato. «Oggi perdere anni significa accumulare ritardi non più accumulabili. (…) Se abbiamo a cuore il futuro dell’Italia dobbiamo fare la Torino-Lione e la Asti- Cuneo” aveva tuonato il nostro dalle colonne de “La Stampa” il 18 settembre 2005 – un anno fa – bacchettando Pecoraro Scanio che era appena venuto in Valle di Susa a impegnare se stesso e il suo partito a fianco della “lotta No Tav”…Ma anche allora la reazione dei più (alle prese coi proclami quotidiani di Bresso, Saitta & Chiamparino) fu quella di chiedersi chi diavolo fosse costui…
Eppure, nel frattempo, anche ai non addetti ai lavori questo nome avrebbe dovuto cominciare a dire qualcosa: un’ANSA da Milano, il 16 marzo 2006 informava, infatti, che la magistratura del Principato di Monaco aveva sequestrato un conto corrente aperto presso la filiale monegasca della Banca del Gottardo denominato Chopin e riconducibile secondo i pm di Milano a Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit, indagato nell’inchiesta sulla scalata ad Antonveneta.
Noi Valsusini siamo, per dna, garantisti, prima ancora che democratici, e simpatizziamo epidermicamente con chi viene ingiustamente accusato dalla magistratura. Ci auguriamo quindi che il Vicepresidente di una delle banche più radicate sul nostro territorio abbia già potuto dimostrare la propria completa estraneità o che lo possa fare quanto prima; (molti di noi hanno depositato i pochi sudati risparmi proprio nella “sua” banca! Volete che ci si auguri che sia un birbante?). Tuttavia le notizie, (divenute rapidamente una vera e propria strage giudiziaria), su Antonveneta, Furbetti del quartierino, Aldoconsorte e la mancata banca di Fassino, hanno turbato una intera estate; e alcuni cittadini già provati direttamente e duramente da bond argentini, cirio e parmalat hanno temuto di dover ricorrere al materasso o ad una mattonella traballante per riporci i pochi risparmi che l’euro di Prodi (gestione Tremonti) ci ha consentito di metter via…
In ogni caso abbiamo provato a informarci su chi sia costui.
Cinquantatré anni a settembre, segno della Vergine, Fabrizio Palenzona nella vita ha già fatto tutto. È stato a destra, al centro, a sinistra, con la finanza laica e con quella cattolica, (…) oggi l’imponente Fabrizio (1,90 di altezza per 1,5 quintali e spicci) è schierato a sinistra con la Margherita. Comincia così una sorta di biografia, ovviamente non autorizzata, che Diario ha pubblicato qualche mese fa a firma di Domenico Marcello col significativo titolo “L’uomo che si è fatto banchiere” mentre il sottotitolo conferma una certa propensione per il linguaggio western:
“ Intercettato, chiama «maiali» gli investigatori. Ora è indagato per la Popolare di Lodi. Ma il suo capolavoro sono le autostrade. E i derivati...”
Ma allora banchiere o autostradale? Tutti e due, anzi di più, molto di più: ci troviamo infatti di fronte a un mastodonte (vista anche la mole) del conflitto di interessi: è diventato vicepresidente di Unicredit (gennaio 1999) grazie alla fondazione CRT nella quale si era “autonominato” Consigliere da Presidente della Provincia di Alessandria(!). Ed essendo Unicredit azionista di Mediobanca ne è diventato consigliere nel marzo 2001, (col beneplacito di Enrico Cuccia e a Vincenzo Maranghi). Ma proveniva da Unitra (autotrasporto) quando ha conquistato la Presidenza dell’Aiscat (l’Associazione delle Società Concessionarie di Autostrade e Trafori) grazie agli ottimi rapporti instaurati con i due maggiori gestori del settore: i Benetton di Ponzano Veneto e i Gavio di Tortona.
E di Tortona è stato Sindaco, spendendosi per la Linea ad alta velocità Milano Genova di cui Gavio era General Conctractor, mentre per i Benetton Unicredit avrebbe sostenuto il titolo Autostrade nella corsa al rialzo degli ultimi tre anni – leggiamo ancora su Diario. Alla base di questa scelta ci sarebbe l’operazione varata alla fine del 2002 dall’azionista di riferimento Schemaventotto. Questa società è per il 60 per cento dei Benetton e ha tre partner finanziari con cui Palenzona ha rapporti privilegiati. Sono la Fondazione Crt,, la stessa Unicredit e le Generali, il colosso assicurativo di cui Mediobanca è l’azionista più importante. Questi soci finanziari che hanno sostenuto i Benetton nella privatizzazione di Autostrade hanno anche partecipato all’opa lanciata da Schemaventotto sull’intero capitale della concessionaria. L’acquisto di tutte le azioni è stato realizzato con uno schema a debito. In altre parole, i compratori non hanno messo soldi ma si sono presi la società indebitandola per quasi 7 miliardi. E in più non hanno fatto gli investimenti per cui si erano impegnati come ha sostenuto Di Pietro ancora la scorsa settimana proprio di fronte a Palenzona che lo ospitava in occasione dei quarant’anni dell’Aiscat. E non era la prima volta che i due si incontravano: una leggenda metropolitana vuole che alla prima esperienza ministeriale l’ex magistrato fosse venuto a Torino per strigliare impresari ed amministratori di autostrade e che l’allora Presidente della Provincia di Alessandria avesse replicato alle accuse con una battuta al vetriolo:”ma almeno questa …Mercedes ce la lasci” avrebbe esclamato giocando sul nome della Bresso (allora Presidente della Provincia di Torino) e sulla marca dell’auto che – ancora magistrato – Di Pietro si sarebbe fatto prestare da un faccendiere successivamente coinvolto nelle famose indagini di “Mani Pulite”! Vero o falso che sia l’aneddoto testimonia della fama di “duro” che circonda l’ex leader dei camionisti divenuto a tappe forzate uno degli uomini più potenti e più temuti d’Italia: all’indomani delle accuse di cui si è detto nessuno si è azzardato a chiederne la testa; si dice che non sia amato né dal brillante amministratore di Unicredit Profumo, né dal management delle Concessionarie autostradali, ma forte della sua stazza appare assolutamente inamovibile.....*** fonte