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Uno dei primissimi esponenti della fantascienza italiana e il primo e ultimo film fantascientifico di Mario Bava, che però nel '59 aveva curato gli effetti speciali di Caltiki il mostro immortale diretto da Freda.
Terrore nello spazio (Planet of the vampires in America) si ispira al racconto breve Una notte di 21 ore di Renato Pestriniero, e secondo molti ha fortemente ispirato O'Bannon nella sceneggiatura di Alien. Effettivamente i punti in comune sono numerosi ed evidenti: Due astronavi, la Argos e la Galyot, atterrano su un pianeta sconosciuto ricoperto di nebbia (!) da cui proviene un segnale radio indecifrabile (!), ma durante la discesa i membri dei due equipaggi perdono i sensi e, quando si risvegliano, iniziano ad uccidersi l'un l'altro senza motivo. L'equipaggio della Argos viene però salvato dall'intervento del capitano(Barry Sullivan) che è riuscito a rimanere cosciente, ma il deflettore di meteore della nave, indispensabile per viaggiare nello spazio, è andato distrutto. Così i superstiti devono raggiungere la nave gemella per recuperare pezzi di ricambio e ripartire, ma improvvisamente i soldati caduti tornano in vita e iniziano ad uccidere.
Oltre all'incipit e alla morfologia del pianeta, ci sono altri due grossi punti in comune col film di Ridley Scott: I morti resuscitati sono posseduti da forme di vita aliene che possono sopravvivere solo all'interno di un ospite (!). Questi parassiti avevano già attirato altre vittime sul pianeta, e infatti i protagonisti trovano una nave aliena piena di scheletri giganteschi che ricordano parecchio lo space jockey.
La cosa non sorprende troppo, visto che la storia è effettivamente molto valida e ricca di richiami alla fantascienza classica. E poi la particolare conformazione del pianeta, con le sue presenza impalpabili, crea un'atmosfera perfetta.
Quello che sorprende invece è la realizzazione. Bava girò tutto nei teatro 5 di Cinecittà e disponeva come al solito di un budget imbarazzante (e si vede), che se per un horror ad ambientazione domestica può bastare, in un film di fantascienza è invece terribilmente limitativo. Eppure tutto funziona alla grande, le rocce finte sparpagliate sulla scena non vengono mai inquadrate dalla stessa angolazione e vengono spesso spostate, così nonostante tutto si crea una certa varietà nel paesaggio.
Gli interni delle navi sono invece desolanti, pieni di pareti metalliche completamente spoglie, corridoi, stanze vuote, e qualche ingombrante console di comando. Questa freddezza generale caratterizza anche l'interpretazione dei vari protagonisti, che pur non essendo voluta (molti sono dei cani, e il doppiaggio fa il resto) rende molto bene l'idea di una civiltà avanzata liberatasi dal fardello delle emozioni.
Pur dovendosi limitare con le scenografie, Bava riesce comunque a dar prova di grande creatività con i soliti effetti speciali caserecci. Delle gigantesche navi vengono mostrate solo le miniature, mentre quando sono sulla superficie possiamo vederne i giganteschi piedi metallici che tutto sommato riecono a mantenere delle proporzioni credibili. Le colline e le vallate del pianeta sono invece ottenute con delle sovrapposizioni non sempre riuscitissime, e i crateri fumanti sono ricavati da vasche di polenta in ebollizione, illuminate con luci rosse (si polenta, era un trucco usato spesso da Bava). Molto strane ma non troppo ridicole le uniformi degli astronauti, ottenute da delle tutine nere in latex con rifiniture gialle accese (il regista ha richiesto un look che ricordasse le uniformi naziste...).
In conclusione, un film davvero notevole sotto tutti gli aspetti. La conferma che il cinema italiano aveva solo bisogno di attori celebri e budget consistenti, perché la creatività e la voglia di rischiare di certo non mancavano.
Non dico che Bava sia Ridley Scott (nemmeno escludo che avrebbe potuto esserlo) però mi viene naturale chiedermi cosa avrebbe potuto fare nelle stesse condizioni.
Aneddoti divertenti (?): Secondo Lamberto Bava, l'attore Barry Sullivan aveva il brutto vizio di ruttare in continuazione sul set, finché un giorno Mario lo avvicinò e fece un rutto poderoso. Da quel momento in poi Sullivan smise di farlo.
Pare che Vittorio De Sica, impegnato nella produzione di Caccia alla volpe, facesse spesso dei giri sul set per ammirare trucchi e scenografie.
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