Cos’hanno in comune la datata querelle relativa alla mezza censura da parte del Corsera dell’editoriale di Giovanni Sartori nel quale il politologo smontava senza mezzi termini la figura del Ministro Kyenge e gli attacchi, verbali e non, di recente indirizzati al politologo Angelo Panebianco da alcuni collettivi universitari?
Apparentemente niente. Ma sostanzialmente sono il risultato della stessa pericolosa tendenza a censurare posizioni in qualche modo disallineate su temi spinosi. Ritengo però che sia giunta l’ora di fare una riflessione.
Una di quelle serie.
Perché l’imbarbarimento della politica non si misura solamente con il consenso raccolto dall’anti-politica di Grillo o da quello dei movimenti di estrema destra. Che gli ingranaggi del nostro già imperfetto sistema politico e dialettico comincino a perdere colpi si avverte anche quando il concordia discors, il fecondo confronto/scontro di idee, viene “azzoppato” dal dogmatismo ideologico.
Quando, cioè, su alcuni argomenti (Panebianco ne ha toccato proprio uno) il dibattito cessa di essere legittimo e l’opinione “diversa” viene criminalizzata.
Si badi bene che non sto difendendo il diritto di chiunque a dire qualsiasi panzana voglia, a questo bastano le garanzie costituzionali e non sto neanche dicendo che chi le panzane le dice davvero debba, in qualche modo, essere esente da pressioni sociali anche forti. C’è chi dice che tutte le persone meritano rispetto. Forse. Ma le idee no! A mio parere nessuna idea deve, in alcun caso, essere esente da critiche. Criticare non significa, però, criminalizzare. La criminalizzazione delle idee (e dei suoi portatori) è un esercizio pericolosissimo e quasi sempre dannoso.
Significa, di fatto, mettere in gabbia l’idea senza un processo. Se l’idea è oggettivamente giusta, criminalizzandola, si impedisce al genere umano di goderne. Un mancato guadagno a livello di civiltà. Se, invece l’idea è oggettivamente sbagliata, lo scenario è anche peggiore. Non si formulano ipotesi, controdeduzioni, congetture, decostruzioni delle idee ingabbiate. Non ce n’è bisogno.
Non si partoriscono, non si sviluppano, non si integrano, non si migliorano le idee (oggettivamente positive) che a queste (oggettivamente negative) si oppongono. Non ce n’è bisogno. Ma se un giorno queste idee, rinvigorite dal vittimismo e dalla brama di vendetta e riscatto tipica di chi è stato ingiustamente incarcerato, romperanno le catene, ci troveremo tutti impreparati ad affrontarle. E potrebbero essere cazzi amari!
Gli esempi riguardanti i due politologi calzano perfettamente. Si è trattato di, goliardico uno, subdolo l’altro, vili e scorretti tentativi di ingabbiare idee perché qualcuno le ritiene pericolose per le proprie.
Panebianco e Sartori, come tutti i personaggi pubblici, possono piacere o meno, si possono condividere o meno le loro posizioni ma essendo politologi (e non politici), ogni loro riflessione, ogni proposta, ogni appello è puntualmente argomentato e condito da elementi oggettivi, quindi inconfutabili. Se e quando questa pratica virtuosa cesserà, possiamo star certi che i loro colleghi saranno felicissimi di far loro le scarpe sottraendogli un po’ di visibilità.
In tempi non sospetti (2000) Panebianco scrisse un bellissimo editoriale in cui spiegava come i veri padri della xenofobia non fossero i movimenti identitari o quelli che si opponevano alla politica del “venite pure” bensì quei terzomondisti di formazione marxista e cattolica che si fanno guidare dagli ideali anche quando ci portano del burrone dell’irragionevolezza. E sembra proprio che, tra un Grillo ammutinato sul tema della clandestinità e un Renzi intento a non scontentate l’elettorato di sinistra, si stia affidando il Paese ai padri della xenofobia che puntano dritto verso quel burrone.