Ricordo molto bene quando esisteva il cosiddetto pentapartito e in Parlamento sedevano miriadi di formazioni politiche, alcune anche improbabili, e l’Italia era sbriciolata politicamente in centinaia di idee e ideologie ognuna delle quali rappresentava diverse sfumature del credo politico del popolo. Il sistema elettorale di quegli anni consentiva la rappresentanza in Parlamento di chiunque fosse riuscito a raccogliere una manciata di voti ed è per questo che ognuno si sentiva libero di creare il proprio partito a sua immagine e rappresentanza. Il concetto era, allora, che prima delle elezioni si poteva combattere tutti contro tutti e poi, sulla base dei voti e dei seggi ottenuti, ci si metteva d’accordo per governare. Alla fine, poi, a mettersi d’accordo erano sempre gli stessi e gli altri si “accontentavano” di una poltrona a Montecitorio o a Palazzo Madama e del vitalizio che ne conseguiva.
Con l’avvento della sedicente Seconda Repubblica e delle successive riforme in senso maggioritario e bipolarista, che accantonarono quasi del tutto il sistema proporzionale che per tanti anni aveva dettato le regole del voto ed era entrato giocoforza nel DNA degli Italiani, le formazioni politiche cominciarono a scendere di numero e la scelta si ridusse sostanzialmente a poche formazioni. In particolare la discesa (o salita) in campo di Berlusconi e la sua politica fortemente caratterizzata sullo scontro diretto con l’avversario, tramite accuse e paventate minacce di totalitarismi incombenti, fece sì che, in breve, l’elettorato si divise essenzialmente in due opposte fazioni, acerrime nemiche l’una dell’altra: i berlusconiani e gli antiberlusconiani. I continui slogan denigratori dell’avversario usati dal leader del centrodestra cementarono l’elettorato avversario in una sorta di fronte comune contro il nemico. Chi non votava Berlusconi diventava, spesso suo malgrado, comunista anche senza esserlo così come l’elettore di destra si lasciava condizionare e diventava a sua volta un soldatino in mano al cavaliere. Tutti era sodali e pronti alla pugna con l’avversario.
Non so se oggi possiamo parlare di terza repubblica o se stiamo semplicemente vivendo il disfacimento della seconda, fatto sta che le cose sono cambiate di nuovo. Nella campagna elettorale per queste elezioni politiche abbiamo visto come l’elettorato sia tornato a disgregarsi, non nei mille rivoli del pre-tangentopoli, ma comunque in diversi schieramenti tutti in lotta tra loro. Non c’è più l’antiberlusconismo esasperato e la fobia del comunismo inventata da Berlusconi sembra ai più sempre più ridicola. Però si fa fatica, talvolta, a distinguere chi sia di destra e chi di sinistra non tanto per il concetto, che qualcuno vuol far passare, che queste due distinzioni siano superate quanto per il fatto che le idee sono tanto confuse da non riuscire a discernere le differenze.
Il dato, però, è che l’elettorato si sia spaccato sia a destra che a sinistra. Anche la mancata indicazione certa del leader o del candidato premier di alcune liste contribuisce a creare una certa confusione. Non è un reale ritorno al proporzionale di un tempo anche perché il sistema elettorale è rimasto tale e quale a quello dell’ultima tornata elettorale, il “porcellum” di leghistica memoria, che comunque rimane un sistema, per quanto ibrido e confuso, imperniato sul maggioritario seppur corretto (o scorretto). Sono, invece, la situazione reale che il Paese vive, le grandi difficoltà in cui versa la popolazione ma soprattutto la mancanza di coraggio da parte di tutte le forze politiche di prendere una posizione netta e precisa prima delle elezioni per far conoscere la propria ricetta per uscire dalla crisi che portano a questa disgregazione ed alla grande confusione che ne consegue.
Nessuno sa cosa accadrà dopo il voto. Qualcuno lo immagina, qualche altro lo spera. Fatto sta che nessun elettore italiano ha nella sua matita il potere di scegliere chi governerà il Paese dopo il voto. È questo, forse, l’indice di quanto sia malata la nostra democrazia e di quanto sia importante riformare l’intero sistema partendo dalle persone. Questo voto presumibilmente non cambierà nulla sulla qualità umana di chi ci governerà e rappresenterà indegnamente in Parlamento. Serva, però, a far capire quanto sia necessario cambiare, quanto sia indispensabile ripensare il sistema non solo elettorale ma politico e, soprattutto, quanto si imprescindibile elevare finalmente la qualità umana, morale e intellettuale di chi si assume l’onere di governare l’Italia.
Luca Craia