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Era il 1927 e a Gozzano veniva prodotta la prima “seta artificiale”. Ricavato dai linters grezzi (la peluria che ricopre i semi del cotone) attraverso un processo chimico messo a punto in Germania, il filato, chiamato anche Rayon, conobbe un rapido successo per la possibilità di essere usato per le fodere dei vestiti.
L’impianto dell’azienda Bemberg in Italia venne accolto con favore dalle autorità e dalla popolazione, per la possibilità di impiego che offriva la nuovissima fabbrica ad un territorio in cui la manodopera era in eccesso rispetto alle possibilità occupazionali.
Una nuova tecnologia, una nuova fibra sintetica, una nuova fabbrica, nuovi posti di lavoro. E perfino una consistente donazione a favore del progetto di un ospedale. Tutto perfetto, quindi, nella “Santa Bemberg” com’era chiamata da molti. Almeno apparentemente…
Alcune voci contrarie si levarono quasi subito, sollevando dubbi sull’opportunità di prelevare acqua dal lago d’Orta scaricando nuovamente le acque del processo cuproammoniacale nello stesso bacino. Si temeva per il livello delle acque e anche per i possibili effetti sulla pesca, in un lago dalle acque ricchissime di vita che davano lavoro a molti pescatori di professione.
Non erano però anni facili per esprimere dissenso quelli. Non solo la fabbrica portava lavoro, ma godeva di coperture politiche importanti, in un regime che stava rapidamente spegnendo tutte le voci critiche, interne ed esterne. Ci fu però chi ebbe il coraggio di sfidare il muro di silenzio. E come spesso accade fu una donna.
La professoressa Rina Monti, originaria di Arcisate, vicino Varese, si era dovuta aprire la strada dentro un ambiente universitario marcatamente maschilista, diventando la prima donna, nel 1907, a ottenere una cattedra universitaria in Italia. E aveva saputo guadagnarsi il rispetto di colleghi e superiori fino a diventare una dei pionieri dello studio delle acque interne.
Quando le fu segnalata una misteriosa moria di pesci nel lago d’Orta la professoressa compì una serie di analisi delle acque. Il verdetto fu inequivocabile. Il ferro, il rame e l’ammoniaca scaricati nelle acque limpide del lago dal processo industriale stavano uccidendo la fauna, distruggendo la catena alimentare.
Questa è una storia che ha un lieto fine, che venne però solo 60 anni dopo questi fatti, quando le acque del Cusio, dichiarato ormai da molti un lago morto, vennero bonificate con una grandiosa azione di recupero. A ideare questo vero miracolo ecologico furono gli studiosi dell'Istituto di idrobiologia di Pallanza, dentro cui avevano lavorato molti allievi della professoressa Monti.
Nota bibliografica. Per approfondire l’argomento consiglio di leggere Angelo Vecchi, Bemberg: il “miracolo” è finito (e i cocci sono nostri) in Borgomanero Verde, Quaderni Borgomaneresi 8, Borgomanero 2005.