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Test genetici a impatto zero

Creato il 18 gennaio 2011 da Emmecola

Genomica direct-to-consumer: apprezzata e osannata da alcuni, criticata e derisa da altri. Quando si parla di test genetici venduti direttamente al consumatore non ci sono mai vie di mezzo: troppo spesso si esprimono opinioni per partito preso, senza fare una vera analisi del problema sotto tutti gli aspetti sociali e medico-scientifici in gioco. Uno studio dello Scripps Translational Science Insitute guidato da Eric Topol prova ora a fare un po’ di luce su alcuni di questi aspetti, e i risultati sono a prima vista sorprendenti.

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Più di 2000 persone sono state invitate ad acquistare a prezzo scontato il test Health Compass dell’azienda di genomica personale Navigenics, grazie al quale avrebbero potuto conoscere il proprio rischio di ammalarsi di oltre 20 malattie, tra cui diabete, Alzheimer, obesità e diversi tipi di cancro. Prima di inviare il campione di saliva ai laboratori che avrebbero eseguito le analisi, i partecipanti hanno compilato un lungo questionario volto a registrare abitudini alimentari e stile di vita prima del test. E’ stato inoltre misurato, attraverso un’apposita scala, anche il loro livello di ansia.

Test genetici a impatto zero

Alcuni mesi dopo aver ricevuto i risultati sotto forma di un voluminoso report di 90 pagine, i partecipanti hanno compilato un secondo questionario che aveva lo scopo di evidenziare eventuali cambiamenti dello stile di vita o del livello di ansia: cambiamenti che non ci sono stati. Sembra infatti che il 90% circa delle persone testate abbia accolto i risultati serenamente, senza che questi provocassero alcun tipo di stress: un punto a favore della aziende direct-to-consumer! A dispetto di quanto sostengono i detrattori, la gente non soffre di problemi psicologici nel conoscere il proprio rischio di ammalarsi di gravi malattie, ed è in grado per così dire di affrontare la verità. La genomica DTC fallisce però uno dei suoi obiettivi principali: stimolare i suoi clienti a migliorare il proprio stile di vita. Nessun cambiamento rilevante è stato infatti registrato nel periodo di follow-up: non è cambiata né la dieta né la quantità di esercizio fisico. Insomma, se ne parla tanto, ma alla fine questi test sono per così dire a impatto zero, senza benefici ma nemmeno spiacevoli effetti collaterali.

Ci sono altri dati interessanti, comunque. Il 10% dei partecipanti ha dichiarato nel secondo questionario di aver discusso i propri risultati con un consulente genetico di Navigenics, mentre il 26% si è rivolto al proprio medico: in nessuno dei due casi la consulenza ha prodotto effetti positivi sul livello di ansia; parlare con il medico, però, ha influito positivamente su dieta e stile di vita. Circa la metà dei soggetti, infine, ha espresso l’intenzione di sottoporsi in futuro a esami medici più frequenti, mostrando quindi di avere comunque a cuore la propria salute, sebbene manchi la volontà di mangiare più sano o fare più esercizio fisico.

Come interpretare questi risultati? Il fatto che i test genetici non abbiano convinto le persone a cambiare le proprie abitudini in realtà non mi stupisce: generalmente una singola variante genetica non alza di molto il rischio di ammalarsi. Sarà interessante rifare questo studio tra qualche anno, quando le predizioni basate sul genoma saranno più affidabili: sono convinto che le persone saranno da un lato più propense a cambiare il proprio stile di vita, dall’altro maggiormente turbate dai risultati. Il modo di dire “la coperta è corta” è particolarmente adatto a spiegare l’essenza della medicina predittiva: un test genetico è utile solo quando è altamente predittivo, ma un test del genere potrebbe potenzialmente creare reazioni ansiose nel caso di risultati negativi; d’altra parte, test con scarso potere predittivo (come quelli attuali) provocano meno stress, ma sono anche meno utili. Non è possibile raggiungere un equilibrio tra questi due estremi, è evidente che la strada da seguire è una sola: perfezionare sempre di più l’efficacia di questi test, migliorando le nostre conoscenze sulle basi genetiche delle malattie e sulle interazioni con l’ambiente. Quello che possiamo e dobbiamo fare è mettere a punto delle strategie di prevenzione che funzionino: soltanto con queste si riuscirà ad annullare l’effetto psicologico negativo di scoprire il proprio rischio di ammalarsi di una malattia terribile. Purtroppo, ho l’impressione che si stia facendo troppo poca ricerca in questo senso, ma spero di sbagliarmi.


Bloss CS, Schork NJ, & Topol EJ (2011). Effect of Direct-to-Consumer Genomewide Profiling to Assess Disease Risk. The New England journal of medicine PMID: 21226570



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