Il concorso per il “Tirocinio formativo attivo” si rivela un immenso gioco a premi, laddove andrebbero analizzate e valutate formazione e preparazione effettive, senza fermarsi al nozionismo da quiz alla Mike Bongiorno
E’ la strada d’accesso alla carriera che, un tempo, veniva considerata una “missione educativa”. Il mondo della “sQuola” orfano della Ssis e patria del precariato,si incontra negli istituti di alta cultura, offrendo ai partecipanti al concorso TFA, che abilita all’insegnamento, una pessima esperienza curricolare ed una disavventura che rispecchia grossomodo il modus operandi tipicamente italiano: disorganizzazione, scarsa trasparenza, modalità di valutazione tutt’altro che meritocratica, atteggiamenti ambigui che legittimano qualche sospetto.
In primo luogo, non poche polemiche hanno suscitato i test propinati agli aspiranti insegnanti: sfideremmo chiunque (tranne i venditori ambulanti che vengono dall’Uganda) a sapere dove si trovi Kampala senza l’utilizzo di Google.
Una volta lo avremmo appreso dalla gigantesca cartografia dell’Istituto Geografico De Agostini, appesa alle pareti di ogni classe che si rispetti. Carte di tela che facevano sognare tanti di noi, pronti ad immaginarci mondi sconosciuti che magari un giorno avremmo avuto la fortuna di vedere dal vivo.
Ma il concorso TFA dovrebbe abilitare all’insegnamento, non è certo un casting per i concorrenti del prossimo quiz di Gerry Scotti.
Alcuni esempi dei test propinati per l’accesso all’insegnamento di materie umanistiche fanno drizzare i capelli, anche ai più ferrati in materie storiche: per quanto ci si possa definire appassionati delle cose del mondo, difficilmente riusciremmo a ricordare esattamente il biennio in cui si svolse la marcia cinese, o l’anno esatto della battaglia di Ulm.
Chiunque avesse dubbi del genere prenderebbe in mano un bel manuale di storia, parlerebbe di Napoleone e della sua egemonia in Europa nel primo decennio del diciannovesimo secolo. E spiegherebbe il prima ed il dopo. La conoscenza di una data serve a ben poco se non si è in grado di offrire un quadro globale delle figure storiche che hanno caratterizzato un determinato periodo.
Ma quel che è peggio, è che questa domanda è stata rivolta a chi ha pagato duecento euro per provare a coronare una vita di studi nell’ambito della letteratura, della linguistica, della sociolinguistica. Per rendere l’idea con un paragone calcistico, è come se chiedessero a Buffon di giocare in attacco la finale dei mondiali: riuscirebbe a dare il meglio? Potrebbe esprimersi in quelli che sono i suoi punti di forza? Ma ancora, Buffon vuole fare il portiere o l’attaccante?
Gli aspiranti “professori di italiano” potevano ben attendersi un altro genere di test: distinzione tra comunicazione ipotattica e paratattica, descrizioni di figure retoriche non copiate pedissequamente da Wikipedia (che sembra essere stata elevata al rango di summa della cultura mondiale: come se nessuno avesse scritto ottimi manuali di tutto lo scibile umano…). Perché domani, dall’alto di una cattedra, non dovranno insegnare il nome della moglie del poeta Eluard (che poi sarebbe la stessa di Salvador Dalì, Gala)
La solita discrasia all’italiana,il solito pentolone dal quale fuoriescono i soliti noti, quelli che “ma io lo sapevo che la Charte Octroyée fu concessa nel 1814!” ma non saprebbero spiegare il significato dell’aggettivo “ottriata” e nemmeno dire se si tratti di un participio passato o di un attributo, o magari di entrambi.
Ma purtroppo c’è dell’altro, oltre alla discutibilissima modalità di valutazione della preparazione del singolo candidato.
Si sono registrate numerose differenze di trattamento non giustificabili che lasciano l’amaro in bocca. In alcune aule di un frequentatissimo ateneo del sud Italia si è assistito alla promozione degli addetti di segreteria al grado di kapo: passo austero, sguardo torvo, petto in fuori e cervelli ben in dentro.
A ben vedere, è l’unica occasione in cui costoro potevano permettersi certi lussi, magari per dare sfogo ad immotivati complessi di inferiorità, derivanti unicamente da pregiudizi legati ad esistenze che hanno preso strade diverse per motivi diversi.
Nessuno sosterrà mai la superiorità del laureato sulla dignità dell’ operaio o dell’impiegato, ma i racconti dei “reduci” parlano di una frustrazione dei controllori, concretizzatasi in continui rimbrotti nei confronti di alcuni candidati, spesso trattati alla stregua di quindicenni colti sul nascere di una guerra con le palline di carta quando il Prof. esce dalla classe, per un semplice scambio di sguardi, un saluto, un colpo di tosse.
Inoltre in alcuni casi si è assistito ad un atteggiamento simil-Alcatraz, con candidati cui veniva impedito di andare persino alla toilette, mentre in altre aule si è assistito ad autentiche scorribande tra le ritirate e i banchi, indice di un atteggiamento molto permissivo di talune commissioni che non hanno prestato adeguato controllo sulla presenza di dispositivi elettronici quali cellulari e tablet. D’altronde, senza alcun regolamento che imponesse regole ferree, la severità dei controlli diventa discrezionale e decisamente discutibile, e così è accaduto che in alcune aule non ci fosse la presenza del presidente di commissione, garante della regolarità del concorso.
Tuttavia sembra che alcuni candidati, sentitisi penalizzati dalla pretestuosità di taluni quiz e dallo svolgimento della prova in oggetto, non siano intenzionati a far cadere nel dimenticatoio quest’ennesima storia di mala amministrazione all’italiana. In alcuni atenei sarebbero pronti comitati spontanei per ricorrere al TAR, per ottenere una pronuncia di annullamento a seguito dei sospetti di irregolarità avanzati da alcuni partecipanti.
E sono sempre i concorrenti di questo grottesco “Telemike” che lamentano lo sbeffeggiamento subito dai colleghi di aule attigue, pronti a vantare come una bravata la loro prova da 8-10 errori grazie alla complicità di alcuni “controllori”, che avrebbero lasciato alcune classi in preda al chiacchiericcio e allo scambio di suggerimenti.
Raccogliamo infine la proposta provocatoria di un docente universitario siciliano: prepariamo un test di cultura generale, con 50 domande da far svolgere a tutti i docenti attualmente in ruolo, di ogni ordine e grado. Licenziamento in tronco per tutti coloro che avranno totalizzato più di diciotto errori.
E trattandosi di “cultura generale”, potremmo permetterci dove si trovi la “Fascia di Clarke” (chissà in quanti risponderebbero “tra i muscoli dorsali!), per cosa è ricordato in Germania Hans Fischerkoessen, dove siano finiti oggi i Cavalieri Ospitalieri (no, non si trovano in Via Antico Corso a Catania).
E via dicendo. Perché, trattandosi di cultura generale, potremmo anche chiedere chi siano stati i primi concorrenti del Grande Fratello.
La cultura non è nozione, la cultura non è erudizione e non si insegna, né si apprende: la cultura è una missione da tramandare in cui non è la conoscenza di una data a fare la differenza, ma il modo in cui si è riusciti a giungere all’evento verificatosi in quella data, né il nome della moglie di . E a comprendere perché quell’evento ha generato tutta la storia successiva. Farebbero bene a comprenderlo, al ministero, dove un po’ di cultura vera non guasterebbe di certo.