Sono una fan delle citazioni cinematografiche, anche se “quando si parla di un film francese, muto e in bianco e nero, la gente ha paura e pensa: <mi annoierò>“, dice Michel Hazanavicius, regista del film The Artist.
The Artist è un bellissimo film muto sull’avvento del sonoro, un eccellente omaggio al cinema degli Anni ’20 che fa riflettere anche sull’importanza della comunicazione in assenza di parole. Nel film sono la musica, le emozioni, le immagini e la bravura degli attori a fare da filo conduttore alla storia. Ed anche gli abiti.
Mark Bridges, costume designer del film, ha vinto l’Oscar per i migliori costumi durante l’84esima edizione degli Academy Awards. Pur in bianco e nero, il fim riesce ad avere i suoi propri colori ponendo l’accento sulla texture degli abiti. Gli attori, per Bridges, dovevano spiccare sul bianco e nero del film. La storia si poteva raccontare con la texture di abiti che risaltassero dallo sfondo. Ad esempio, quando inizia la decadenza della carriera di George (Jean Dujardin), gli abiti sono leggermente più larghi perché riflettono in qualche modo la decadenza del suo successo. George è diventato un uomo meno importante di quello che era.
Lamé, paillettes e perline per Hollywood, lana a trama larga per comunicare “down-on-your-heels”, l’eleganza dei risvolti in satin per la sera o la lucentezza di una camicia da notte diventano anche protagonisti del film. Sono i tessuti e le loro trame che raccontano la storia. I costumi sono ispirati ad una moltitudine di film degli anni ’20 caratterizzati da guardaroba “emozionali”. La più grande ispirazione è stata Show People, film del 1928 con Marion Davies e William Haines. Il look di George Valentin negli studi cinematografici in The Artist è ispirato a quello dell’attore John Gilbert, che è anche un cameo in Show People.
Per Peppy Miller (Bérénice Bejo) Mark Bridges si è ispirato alle immagini dell’attrice Joan Crawford nel film del 1928 Our Dancing Daughters, ma anche ai film Sunrise (1926) e City Girl (1930). Alcuni vestiti indossati da Bérénice Bejo saranno in mostra fino al 28 Aprile 2012 al FIDM Museum Art of Motion Picture Costume Design di Los Angeles. Ci sono l’abito che Peppy Miller indossa quando strizza l’occhio a George Valentin, l’impermeabile e l’ombrello a fiori che usa quando va a trovarlo a casa durante una tempesta.
I cappelli Homburg (detti anche “alla diplomatica”), i guanti e l’abito tre pezzi indossati da Jean Dujardin rappresentano quello che Bridges definisce il “vestire con precisione“. “Spero che il film influenzi la moda in un modo di vestire molto preciso, in cui ci si prenda cura di ciò che si indossa. Per vestirsi con precisione intendo quando la tua camicia ti va a pennello o se i vestiti sono fatti su misura anziché essere presi da uno scaffale. Tengo molto allo stato del personaggio rispetto a quello che indossa. Per esempio, se non sta bene forse indossa qualcosa di comodo o che non gli sta troppo bene. Provo costantemente a leggere nella mente dei personaggi e a capire che momento stanno vivendo”.
Gli anni ’20 quest’anno hanno invaso le passerelle come quelle di Gucci, Ralph Lauren, Etro, Marni, Alberta Ferretti, Marchesa o Marc Jacobs per la Primavera/Estate 2012. Ma anche al cinema si rileva la nostalgia delle atmosfere tipiche di quest’epoca in film come Midnight in Paris di Woody Allen e Il Grande Gatsby di Baz Luhrmann. Tra moda e film, nel mondo dei graphic novel fa capolino SuperZelda, la biografia a fumetti scritta e illustrata da Tiziana Lo Porto e Daniele Marotta che racconta le vicende “spericolate” di Zelda Sayre, moglie e grande amore dello scrittore Scott Fitzgerald.
E se The Artist fosse l’esempio che l’evoluzione del nostro modo di comunicare ha raggiunto un livello tale da farci ricominciare lentamente a desiderare un ritorno a forme di espressione più semplici ma che trasmettono l’essenza delle emozioni umane? L’unica certezza è che l’arte del saper raccontare non morirà mai.
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