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The Awakened Fate Ultimatum – Kami-sama is dead. E Menomale…

Da Videogiochi @ZGiochi
di Jacopo "ED64" Retrosi

Non sale anche a voi il nazismo quando il seguito di un titolo valido, o che comunque a suo tempo apprezzaste, si rivela inaspettatamente sottotono rispetto al suo predecessore? Nel corso degli anni abbiamo assistito a molti casi del genere, più che mai in tempi recenti; a chi dare la colpa in questi casi? Ad un team di sviluppo pigro, che anziché evolvere la propria opera preferisce lasciarla inalterata il più possibile per massimizzarne la resa con il minimo sforzo? O al contrario ad un approccio fin troppo differente dai suoi albori e quindi privo di mordente o poco funzionale? Downgrade tecnici o mancati exploit? Feature già saggiate in passato poco approfondite o latenti? Comparto narrativo o gameplay non all’altezza? Diamine, con The Awakened Fate Ultimatum, secondo capitolo del brand NIS America (avviato con Paradox circa un anno e mezzo fa) abbiamo avuto l’impressione di riscontrare tutte le magagne sopra elencate, nessuna eccezione. Il titolo, recentemente uscito su PS3, si presenta infatti come un dungeon crawler ibrido a una visual novel lineare, sulla scia del capostipite, da cui riprende gran parte degli elementi che lo caratterizzavano (trattandosi in fin dei conti del suo diretto sequel), dalle tematiche “divine” filo-nipponiche della trama, alle meccaniche legate ai combattimenti e al sistema di crescita del protagonista, tuttavia nel cercare la sua strada sembra aver smarrito completamente la formula che aveva reso The Awakened Fate Paradox affascinante, per quanto imperfetto, risultando un’esperienza mediocre e pedante in ogni suo comparto. Ma vediamo di scendere nel dettaglio…

Senza titolo-1

ARE YOU A GOD? OR A MOUSE?

Similmente alla maggior parte dei JRPG della sua risma, la storia di The Awakened Fate Paradox era autoconclusiva, le peripezie di Renya in qualità di “Dio” si concludevano con la sconfitta di Satanael, così come il conflitto tra angeli e demoni, eppure eccoci di nuovo dopo “diversi anni” a combattere una guerra che non ci appartiene, al fianco di creature eteree nei panni di una super-arma biologica precedentemente umana, come se il nostro intervento tempo addietro non abbia risolto alcunché. La scelta di proseguire questa storyline appare insomma alquanto bizzarra, tuttavia nei vari Disgaea NIS è sempre riuscita a ricollegare gli eventi passati con le successive installazioni del brand, incorporandole assieme per una lunga e intricata vicenda (che a breve continuerà su PS4); in che modo quindi la software house nipponica si è prodigata per far quadrare i conti nei meandri di The Awakened Fate? Beh… non l’ha fatto, e anzi le principali connotazioni di Celestia, Netheworld e kami-sama sono state distorte, mutilate e riarrangiate malamente per adattarsi alle nuove esigenze narrative, accennando una banale scusa à la multiverso Marvel per giustificare il tutto. Il microcosmo che ci eravamo lasciati alle spalle si presenta dunque irriconoscibile, ora più blando, generico, in linea a dire il vero con i disegni di Noizi Ito (Shakugan No Shana, Haruhi Suzumiya…), inferiori in termini di dettagli, stile ed espressività rispetto agli artwork del capostipite, e a ben pensarci anche alla cura riposta in generale all’intera produzione, a partire dalla caratterizzazione dei personaggi. Il ristretto cast di Ultimatum è ridondante, scontato, irritante alle volte, e lungi dal possedere un briciolo di carisma per cui provare la benché minima empatia: il protagonista, tale Shin Kamikaze, è il tipico fantoccio fotocopia che siamo costretti a sorbirci praticamente ovunque, una bandiera lagnante e passiva incapace prendere una decisione concreta senza che allo spettatore non venga voglia di saltare nello schermo per prenderlo a schiaffi, una figura insignificante, il cui (spastico) sviluppo individuale nel corso del gioco tutto si può definir fuorché ricercato, e la sua esclusiva coppia di “vallette” che va a costituire tra l’altro il suo forzatissimo harem, poco aggiunge allo sterile e prevedibile canovaccio; ed evitate di farci proferire a proposito di comparse ed “antagonisti”.

La storia che ne deriva è un guazzabuglio privo di sostanza e personalità, improntata in linea teorica a coinvolgere emotivamente il giocatore, utilizzando come catalizzatore il peso della responsabilità che graverebbe su ogni decisione presa dalla nostra urticante divinità (della serie “il bene di molti al prezzo di pochi” e viceversa), ma il tentativo naufraga a causa della tediosità del comparto narrativo e dell’incoerenza congenita di Shin, che portano dopo massimo un paio d’ore a mandare tutto a quel paese e a sperare che questa malattia venerea spacciata per dramma finisca in fretta. Eppure l’incipit per un’interessante dipanazione della vicenda sussisteva, e poteva funzionare alla grande: il sistema di scelte multiple che scandisce gli attimi salienti della trama, presentato come i piatti di una bilancia karmica, sembra lasciar intendere che propendere per un atteggiamento rispetto ad un altro influenzi significativamente il corso degli eventi o la nostra affinità con le due forze in gioco, intrecciando un’unica route sulla base dei nostri progressi, e in effetti per un paio di capitoli le relazioni tra i personaggi paiono svilupparsi seguendo questa linea guida, salvo poi rivelarsi un mero specchio per le allodole, abbandonando qualunque proposito in favore di una seconda metà lineare e buttata lì giusto per raggiungere quota 13 + OVA; tutti si salvano, tutti sono felici, ogni dissapore scompare nel nulla, e domani tutti torneranno alla loro consueta routine, guerra e sopravvivenza stentata comprese, in barba alle verbose chiacchiere su una Celestia decadente e prossima al collasso, la situazione disperata degli angeli, i dissidi interni, i bambini soldato, roba che in Paradox non esisteva, e apparentemente dopo un certo punto neanche in Ultimatum. La parte che salviamo della campagna? Il late game, graziato da un mood leggero, graditi ritorni e bizzarri cross-over a modo loro simpatici, non molto se pensate che prima di arrivarci si è costretti a sopportare uno strazio lungo una decina di ore, e che una volta sbloccato il true ending (questione comunque da poco) lo stimolo a riprendere il titolo si è estinto e fossilizzato da eoni.

Ok, la storia non sarà un granché, ma se non altro il gameplay merita, vero? Purtroppo non sembra essere il caso, nonostante ci piacerebbe affermare il contrario. Intendiamoci, trattandosi di un canonico dungeon crawler roguelike con visuale dall’alto, lacune quali la ripetitività dell’azione e un combat system abbastanza raffazzonato non dovrebbero stupire più di tanto; a farlo è la netta inferiorità rispetto al precedente capitolo: niente più alleati a darci man forte in battaglia (forse un bene, considerata la pessima IA), la curiosa pratica del reset sostituita da un classico sistema di level up statico, così come il building interattivo di parametri e skill (il Divinigram), rimpiazzato da una gestione minimale e semplicistica, inoltre all’appello mancano contenuti e feature come la vasta gamma di equipaggiamenti, accessori e abilità, o il Burst di armi e armature. È come se gli sviluppatori avessero preso il codice sorgente di Paradox e lo avessero riproposto dopo averlo spogliato di tutto ciò che lo rendeva intrigante, rattoppandolo qua e là con soluzioni che gemono low budget e carenza di idee da ogni pixel. E l’esperienza una volta nei dungeon non è affatto migliore. Il design dei singoli labirinti è oltremodo sterile, sia da un punto di vista stilistico che strutturale, fallendo nell’introdurre nel tempo nuove dinamiche o variabili che potessero rendere la pratica un pelo accattivante, i nemici presentano caratteristiche fin troppo “scomode” anche per gli standard del settore e peccano di varietà (boss inclusi), fattore che se sommato alla mole di trappole invisibili e ai fastidiosi spawn degenera qualunque sessione in una mortificante sequenza di sfortunati eventi. È difficile? Certo, ma è altrettanto arduo trarne delle gratificazioni a causa del massiccio e infame RNG, pronto a piallarci alla prima occasione, spesso indipendentemente dal nostro comportamento, e ricordiamo che perire equivale a perdere l’intero inventario, ergo potete immaginare gli imprechi.

L’unica novità degna di nota è lo sdoganamento dei poteri divini del protagonista, in grado ora di trasformarsi a comando in angelo o demone, denotando un battle system incentrato sulla “polarità” dei nemici, contro cui godremo di sostanziosi bonus qualora dovessimo affrontarli ricorrendo alla forma opposta al loro orientamento. La trovata di per sé funziona, obbligando il giocatore a muoversi con ancora più circospezione per evitare di finire all’angolo o intrappolato in un corridoio, pur rivelandosi un tantino macchinosa a causa dei continui switch per conservare SP senza schiattare nel processo (in quanto Shin da umano non può nulla, anche ai livelli maggiori); il problema risiede nell’impossibilità di personalizzare in alcun modo i due “alter ego”, ancorati a set predefiniti che esauriscono il materiale molto in fretta, unendosi quindi alla monotonia lancinante che affligge il titolo. Sul profilo tecnico invece il passaggio a modelli poligonali super deformed ha aiutato Ultimatum a distaccarsi dai vari Disgaea, la cui influenza era palese negli sprite di Paradox, peccato ciò sembri avergli negato una valida direzione artistica, piatta e poco ispirata, mentre effetti speciali e SFX sono stati perlopiù riciclati. Buona la colonna sonora a cavallo tra l’austero e il gothic metal, sebbene non così memorabile come un anno e mezzo fa, e lo scarto si nota quando alcuni brani passati ritornano in pompa magna, idem per il doppiaggio in lingua giapponese.

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