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The Babadook

Creato il 07 gennaio 2015 da Jeanjacques
The Babadook
Una cosa che ho sempre desiderato quando ero single era il trovare una ragazza con cui guardare i film horror. Perché quella intellettuale con cui andare al cineforum magari era chiedere troppo, poi perché credo che il condividere l'orrore, qualcosa che è istintivo e ancestrale nella testa di ognuno, sia qualcosa di bellissimo. Purtroppo [non che me ne lamenti, sia chiaro] mi è capitata la ragazza fifona che ha dovuto fare uno sforzo enorme per vedere fino alla fine La madre, che come horror non era poi neppure così estremo, quindi nisba. Se non altro non mi costringe a vedere i film d'amore, che p già tanto, ma la costrizione nel seguire una serie come Pretty Little Liars non so se sia peggio di molto altro. Le visioni dei film horror devo farmele tutte da solo. Così sempre da solo mi sono dovuto vedere questo The Babadook, film australiano da noi ancora inedito che sulla blogsfera sembrava aver soddisfatto proprio tutti. Lo recupero colpevolmente in ritardo, perché si sa che io ogni cosa devo reperirla fuori tempo massimo, in una serata in cui la vita aveva ben poco altro da offrire. E l'ho guardato sapendo poco o nulla della trama, perché dei colleghi recensori avevo visionato solo il voto all'opera per non farmi condizionare, forse la cosa migliore da fare ogni volta che ci si approccia a un film qualunque esso sia. Ma l'averlo scoperto conferma tutti i motivi per cui ho voluto aprire un blog, ovvero il poter imparare da persone che ne sanno decisamente più di me. Perché l'arte è, soprattutto, condivisione, senza inutili elitarismi che impediscono ogni tipo di apprendimento.

Amelia è una giovane infermiera in una casa di riposo che, dopo la morte del marito, è costretta a crescere da sola il piccolo Samuel, bambino dotato di un'immaginazione talmente fervida da sconvolgere le giornate e le serate della donna. Le cose però si complicano quando il piccolo trova un libro che parla di una certa creatura, il Babadook...

Non ricordo di aver mai avuto qualche paura da piccolo, così come non ricordo di aver mai creduto a un qualche uomo-nero che si nascondeva sotto il mio letto o nell'armadio. Con questo non voglio dire che sono stato un bambino coraggiosissimo, anzi, tutt'altro, però forse è stata proprio per quella 'mancanza' infantile che col tempo la narrativa horror, così come pure le tematiche legate all'infanzia e ai suoi traumi, hanno finito per affascinarmi. Così come mi affascina la figura del baubau o di tutti quei mostri strettamente collegati con le fobie infantili e adulte; cose che vedo non così distanti, perché cosa sono gli adulti se non dei bambini troppo cresciuti? A prima vista quindi questo film potrebbe parlare di quello, ma il discorso, a mio modestissimo parere, va a parare in tutt'altra direzione. E colgo l'occasione quindi per sottolineare quanto mi renda felice il fatto che un film simile, così strutturato, bello e originale, sia stato diretto da una donna, perché quello dell'orrore è un genere che per naturali preconcetti sociologici è dato come pura prerogativa dei maschi - e per dire, forse non è un caso che i primi autori letterari che vengono in mente sono Stephen King o Clive Barker, e non Mary Shelley o Anne Rice. Ma forse per parlare di un soggetto simile ci voleva propria un'esponente del sesso femminile. E qui ritorniamo quindi al discorso principale sul vero senso del film, che a mio parere parla proprio della solitudine, del complesso legame madre-figlio e, soprattutto, dell'elaborazione di un lutto, problematica che ha dato origine anche ai primi due temi, confermando l'idea che il genere narrativo d'appartenenza non deve essere il fine di una qualsiasi storia, ma la corrente su cui viene condotta. Già le prime scene lo dimostrano perché, più che a un horror, fanno pensare a un dramma familiare, tema intorno al quale poi si snoda tutta la vicenda principale. La regia della nostra Jennifer Kent, anche sceneggiatrice, è molto elegante ed elaborata, senza però strafare mai. Il film ha un ritmo che non fa pesare manco uno dei novanta minuti di visione e che non fa percepire manco un tempo morto, cosa non da poco se pensiamo che il tutto ha avuto origine da un corto di dieci minuti diretto dalla stessa regista e che è stato ampliato per l'occasione in un lungometraggio. Lungometraggio che ha tutte le carte in regola per stregare ed affascinare, giocando non tanto sulla grafica del mostro antagonista (che comparirà pochissime volte, perlopiù suggerito, lasciando molto spazio alla sua controparte cartacea), ma che però mostra ugualmente dei piccoli difetti. Quelli su cui fa perno infatti sono davvero dei temi belli pesanti che forse avrebbero meritato ognuno un proprio film, mentre il metterli tre insieme in un'unica pellicola forse non beneficia all'economia generale, che fa percepire un paio di momenti come fin troppo sbrigativi o non del tutto completi. Ironia della sorte, a patire maggiormente del tutto è proprio l'elaborazione del lutto, il tema portante, che mostra un paio di ragguardevoli scene nel finale che però non vengono sfruttate appieno come dovrebbero, lasciando quindi spazio ai temi secondari della solitudine e del rapporto genitoriale. Che guarda caso, erano quasi quelli che mi interessavano maggiormente, quindi non posso proprio lamentarmi. Mi ha davvero stregato l'attrice protagonista, capace prima di apparire bella e solare e un attimo dopo quasi mostruosa, modulando anche la voce in maniera eccellente. Possiede poi uno sguardo particolare, in grado di farti sentire tuttala stanchezza del personaggio e, aiutata poi da un ottimo uso degli effetti sonori, di comunicare tutto lo stato di inadeguatezza che sente non tanto nel dover affrontare il mostro, ma nel dover gestire un figlio che manco lei sente di comprendere appieno. Ed è in quello che sta la forza del film e del suo finale. Forse l'orrore e l'incomprensione si nascondono in ogni rapporto e lo segneranno a vita. Forse l'orrore e il disagio non si possono cancellare, al massimo li puoi affrontare e imparare a conviverci. Perché quello magari è un gioco al quale nessuno vince, ma fissare la tua paura maggiore negli occhi e sopravvivere ad essa, imparando a vedere il mondo con sguardo rinnovato, è la vittoria più grande.

Forse non è il capolavoro detto da molti (o magari, probabilmente, sono io che non lo colgo come tale) ma vale assolutamente la pena di essere visto.Voto: ★ ½

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