Anno: 2012
Nazionalità: USA
Durata: 84’
Genere: Horror
Regia: Barry Levinson
Distribuzione: M2 Pictures
Uscita: 6 Giugno 2013
Dall’Oscar all’horror; questo è il percorso del noto regista Barry Levinson che, in tempi ormai non troppo vicini, spopolò ad Hollywood con Rain man-L’uomo della pioggia, tanto da essere insignito del più celebre premio cinematografico.
The bay rappresenta la sua prima escursione vera e propria nel genere horror, se togliamo qualche atmosfera dark nel fantasioso Piramide di paura, e con la produzione del noto Oren Peli della serie Paranormal activity mette su un mockumentary che per obiettivo primario ha quello di insidiare una certa ansia nello spettatore.
Date le premesse la cosa potrebbe anche riuscire; infatti The bay è la documentazione, falsa, di un’epidemia avvenuta nel pieno di una festa del 4 luglio, svoltasi in una località balneare statunitense.
L’orrore ha inizio quando nella gente cominciano a presentarsi delle pustole, generate dal contatto con l’acqua che è abitata da parassiti poco raccomandabili, degli isotopi assassini che pian piano divorano il corpo umano o qualsiasi essere in cui si addentrano.
Interviste e scene documentate accompagneranno questa visione, che vede pochi sopravvissuti a quella che potrebbe rivelarsi un’apocalisse realmente fattibile e non pura fiction fine a se stessa.
L’intenzione quindi, come già s’è capito, è quella di angosciare e mettere paura con immagini poco raccomandabili e un taglio documentaristico che metta alla berlina la comunità intera, che si tratti di autorità o gente comune.
Da Levinson un prodotto così di tensione sinceramente non ce lo saremmo aspettati, perché The bay, per quanto non sia la perfezione nel genere trattato, è tra i mockumentary uno di quelli che ne esce meglio a testa alta.
Salvo una prima parte introduttiva che prende i suoi tempi per innalzarsi, l’opera in questione nella seconda metà percorre una via tutta horror che gioca di tensione e raccapriccio, alza il tiro con l’uso di un sonoro adeguato e senza limitarsi all’uso esclusivo di scene in soggettiva.
La struttura segue quella di un qualsiasi lungometraggio a tema e quando arriva al dunque si trasforma in una sorta di eco-vengeance anni ’70, con un certo occhio politico, poco onnipresente ma essenziale, miscelato all’horror, solo come George A. Romero saprebbe fare.
Una piccola sorpresa The Bay, che riscatta il mestierante Levinson dall’anonimato in cui era stato obbligato a perdersi negli ultimi anni.
Mirko Lomuscio