The Bay ci mostra l’opposto: le indagini di due biologi marini che avevano scoperto quel mostruoso parassita, e che sono stati mangiucchiati proprio da lui; l’intera cittadina di Chesapeake, i cui sopravvissuti all’infezione si contano; l’avventura del medico della zona, assediato dalle richieste di soccorso e morto quella stessa sera, dopo tutti i suoi pazienti e dopo che il suo personale aveva lasciato l’ospedale; la tragicomica morte del sindaco della città in un incidente d’auto, cui sarebbe sopravvissuto se qualcuno lo avesse soccorso. Un contrappasso forse meritato, vista la sua negligenza o scarsa lungimiranza nel gestire l’emergenza ambientale. Tutto girato e montato come se fosse un documentario, con pseudo-immagini di repertorio prese da varie fonti intervallate da un’intervista in cui, via skype, la protagonista racconta come un flashback tutto quello che le è successo: è proprio lei una delle inspiegabili sopravvissute, pur essendosi lavata la faccia dal sangue infetto di una vittima con la stessa acqua assassina. Un dono della Provvidenza, affinché questa storia potesse essere raccontata?
L’estetica del film accresce il disgusto e la tensione: sapere che tutto quello è successo davvero e guardarlo come found footage non trattiene di certo sobbalzi o gridolini, quando non proprio lo schifo di veder strisciare vermi o simil-scarafaggi nell’esofago, nel collo, fino a diventare sensibilissimi e scambiare il ciuffo di una sciarpa per una zampetta. Verrebbe voglia di dire che Levinson sarebbe stato addirittura scorretto, giocando sul filo di sorpresa – quando sbuca da una bocca quel parassita che subito morde la carne – e suspense – quando la morte e la notte avvolgono una cittadina ormai fantasma, nell’attesa che gli ultimi ospiti comprendano di non avere speranze. Eppure sono pochi i modi per creare una paura che vada oltre il semplice spavento: ricordarci che la natura può rivalersi su di noi in qualunque momento è uno di quelli, ma talvolta – solo qualche volta – The Bay esagera con la sorpresa disgustosa.
Ecco la recensione su Cinema4stelle.
Paolo Ottomano