Senza sapere perché o percome Andreas si ritrova in una grande città con una bella casa e un posto di lavoro.
Di fronte ad un film del genere mi chiedo come debba comportarsi un recensore. Se recintarsi dietro una normale descrizione evitando qualsivoglia mossa ermeneutica, se esprimere un giudizio secco privo di fronzoli, o se magari avventurarsi negli erti sentieri interpretativi.
Perché Den brysomme mannen (2006) è una pellicola così, di quelle che assomigliano ad un cubo di Rubik da completare, con l’aggravante che, parere di chi scrive, il regista Jens Lien non invogli granché a farlo.
Comunque, per sbrigare la faccenda in poche parole, farò un sunto delle tre opzioni sopraelencate cominciando dal giudizio: film insipido, sfilacciato, cablato più per l’Immagine che per il Significato e per di più insolubile dati gli scarsi indizi. Non è di certo la prima opera che comunica tramite un canale così surreale, e non lo è nemmeno per quanto riguarda le responsabilità che vengono assegnate allo spettatore: è lui che ha il compito di dare senso a ciò che ha visto, ma, onestamente, chi ne ha voglia?
Se le premesse stuzzicano, è l’impianto generale che incassa sbadigli e punti interrogativi con preoccupante facilità. Costituito da una linea eterogenea – la commedia alla Roy Andersson è una cupola che chiude molti altri registri, tra cui qualche splatteria e un po’ di romance –, The Bothersome Man soffre di un andamento balbuziente che non sa essere né onirico né circolare perché anche lo stratagemma della partenza in media res è da camomilla prima della nanna. Soprattutto non sa essere “film” nell’accezione di “corpo”: senza scheletro, senza gambe per poter camminare, senza mani per poter condurre, senza cervello per poter far pensare, senza cuore per far emozionare.
Che poi Lien abbia occhio e tatto visivo non lo si nega perché ci sono buone sequenze che stanno lì a testimoniarlo, quella del treno, dall’incidente alla claudicante passeggiata verso la luce, colpisce ed incuriosisce. Che poi, sempre, si possano rintracciare dei sensi in profondità, il concetto più condivisibile vede una critica all’uomo moderno che non sa essere felice nemmeno quando può avere qualunque cosa, è un aspetto che comunque nobilita il film, tuttavia c’è da domandarsi sul serio: chi ne ha voglia? Non si vuole negare la libertà all’autore, ma al contempo si pretende un briciolo di cognizione di causa in modo da evitare che le scene sullo schermo vengano appiccicate soltanto dalla nostra colla.