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"The box e altri racconti" di Richard Matheson
Richard Matheson non dovrebbe aver bisogno di presentazioni. Scrittura asciutta, quasi istantanea, deliziosamente cinematografica; amore per la speculazione narrativa, nel senso migliore del termine.
The Box e altri racconti (titolo originale: Button, Button: Uncanny Stories), tradotto in italiano da Anna Ricci e pubblicato da Fanucci Editore, è una raccolta di racconti scritti dal maestro americano tra il 1950 e il 1970.
Certamente la recente trasposizione cinematografica di Button, Button, che in italiano è appunto il racconto che dà il titolo al volume, ad opera di Richard Kelly, già regista del film cult Donnie Darko, fa riflettere sull’operazione commerciale, lecita, per carità, ma che non sfugge al “fruitore” accorto (e non dovrebbe sfuggire a nessuno, sia detto con la massima franchezza), per la quale in copertina possiamo osservare i bei visi di Cameron Diaz, James Marsden e Frank Langella, interpreti, lodevoli peraltro, della pellicola di Kelly.
Tuttavia, dato che The Box e altri racconti si compone di ben (nonostante, mi sia passata l’ironia, risulti difficile crederci, a leggere le bandelle) dodici racconti, sembra più corretto parlare della raccolta nel suo complesso. E, seguendo questa linea, è opportuno dire che probabilmente The Box non è la migliore, tra le storie proposte.
Le tematiche sono varie, ma tutte ricollegabili a quel gusto per l’imprevisto, per il “cosa succede se” che, del resto, ci riconduce alla prolifica attività di Matheson come sceneggiatore e in particolare alla celebre serie televisiva ideata da Rod Serling, The Twilight Zone (Ai confini della realtà), per il quale Matheson ha scritto un gran numero di episodi, adattando anche lo stesso Button, Button per l’episodio omonimo (La pulsantiera, in italiano), il numero 50 (nella puntata n.20, stante l’accorpamento di più episodi nella medesima puntata) della prima stagione di quella che viene chiamata “la nuova serie” di Ai confini della realtà, per differenziarla dalla serie “classica”, risalente agli anni tra il ’59 e il ‘64.
Si va, perciò, da storie come Una ragazza da sogno, breve ma inquietante ritratto di una coppia nella quale uno dei due costituenti possiede un potere singolare, al notevole L’abito fa il monaco, dal sorprendente twist-in-end, passando per i più deboli Una stanza per morire, Nulla è come un vampiro, e Muto. Discorso a parte merita invece Il terrore strisciante, gustoso paradigma delle disaster-stories, se ci è concesso chiamarle così, in una piacevolissima veste da mockumentary, congegnata ben prima dell’onda di mockumentary che ci assedia oggi, soprattutto a livello cinematografico.
I protagonisti dei racconti di Matheson, come quelli dei romanzi (pensiamo, uno su tutti, al magnifico e terrificante Tre millimetri al giorno), si trovano a confronto con qualcosa di inaspettato che irrompe nella quotidianità, talvolta persino banale, noiosa, provinciale, e la riconfigura. Tra il soprannaturale “accettato” e quello “spiegato”, per far riferimento a categorie todoroviane, ma con una predilezione per il primo, Matheson indaga con sottigliezza la psicologia umana, la dicotomia comportamentale innescata dal “fantastico”, termine da prendere con la dovuta accortezza, che sfonda la realtà della narrazione e, parallelamente, soprattutto attraverso i finali aperti, getta un’ombra di inquietudine sul lettore.
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