E' un Lee Daniels che va sul sicuro quello di "The Butler: Un Maggiordomo Alla Casa Bianca", forse troppo addirittura. Facendosi leva dell'articolo pubblicato sul Washington Post dal giornalista Will Haygood trasloca sullo schermo la vita di Eugene Allen, un uomo cresciuto schiavo della disuguaglianza e che fin da piccolo è costretto a combattere tra il suo desiderio di ribellione nei campi di cotone e i consigli del padre - ucciso prematuramente da un padrone davanti ai suoi occhi - che lo incoraggia ad adattarsi al mondo e a non uscire dalle righe. Una volta rimasto solo e con una madre scioccata non più in grado di accudirlo, Eugene trova però la forza per fuggire e ricominciare da zero, con difficoltà ottiene un impiego come maggiordomo alla Casa Bianca e li resterà in pianta stabile per più di un trentennio, seguendo da vicino vicende e risvolti politici e riuscendo a farsi amare incondizionatamente da tutti i Presidenti della nazione.
Sta di fatto che il percorso epico, l’attesa e la speranza verso un cambiamento positivo da parte di Eugene, nonostante sulla carta apparentemente potentissimi e cinematografici, sono rammendati da Daniels con tocco assai scolastico ed elementare. Anziché puntare sulla forza dello strumento che ha tra le mani infatti il regista preferisce affidarsi totalmente alle performance intense dei suoi (molti) attori, i quali certamente non sfigurano davanti alla camera ma non sono decisamente in grado di mantenere salda la pellicola con la loro sola forza fisica ed espressiva. E' nella maniera piatta di esporre grandi fatti allora la principale mancanza di “The Butler: Un Maggiordomo Alla Casa Bianca”, nello statico movimento di una sceneggiatura ripiena di così tanti ingredienti da essere costretta a strabordare ai lati, ingarbugliando non poco il suo gusto complessivo. L’idea di esporre una battaglia lunghissima, dura e sanguinolenta, mostrandola politicamente dall'interno e ferocemente dall'esterno - con pause casalinghe in cui la protesta finisce per affliggere anche il bilanciamento famigliare – doveva essere quell'arma capace di fornire all'opera di Daniels un valido motivo di esistere, invece, al contrario, gli squilibri generati da essa spezzettano la preparazione di un innalzamento che non comincia mai per davvero e che ci accompagna un tantino annoiati e stanchi dall'inizio degli anni '50 fino al capitolo più recente, con Obama trionfante e gli occhi increduli di chi, colmo di sofferenza, mai avrebbe immaginato un fine tanto lieto.
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