Magazine Cinema

The Capsule

Creato il 05 luglio 2015 da Frankviso
The CapsuleAthina Rachel Tsangari
Grecia, 2012
35 minuti
Benvenuti, nel chimerico regno dell'eclettica Athina Rachel Tsangari. La regista di Attenberg (2010), contattata dal collezionista d’arte Dakis Joannou (per il progetto DesteFashionCollection),  dirige e sceneggia con l'ausilio della disegnatrice Aleksandra Waliszewska un'opera stilosa e graffiante (totalmente diversa dal succitato film e quindi, dal recente stereotipo di matrice ellenica), che ci introduce inaspettatamente in un universo surreale, spalancandoci le porte di una crepitante magione gotica del Settecento arroccata sugli scogli di un'isola nell'arcipelago delle Cicladi.

Estrinsecamente, è "la capsula" che tiene imprigionate sei giovani donne dall'aspetto ceramico (tra queste, la sokuroviana Isolda Dychauk) succinte in ricercati abiti dal taglio collegiale; sei discepole (o replicanti) alla corte di una dominatrice matriarcale (Ariane Labed, già protagonista in Attenberg) che, costituito un'ordine improntato su un'insolita dottrina iniziatica alla (ri)scoperta della natura femminile, finisce per stabilirne i rispettivi e brevissimi cicli esistenziali.
The CapsuleCinema eterogeneo contaminato da moda e videoarte, sovrimpressioni animate e suggestivi ammiccamenti orrorifici (rievocanti in parte il mito del vampirismo - più precisamente della "vampira" - con istintivi rimandi al miglior Jean Rollin, in particolar modo per quanto concerne l'epilogo); "la capsula" rappresenta innanzitutto, metaforicamente, il corpo. E solamente poi, quello spazio ogivale che lo procrea tenendolo serrato al suo interno (a testimonianza immediata, le fantasiose inquadrature iniziali, nelle quali le "replicanti" si (ri)destano da un sonno imprecisato, dalle cavità più disparate dell'antico palazzo) e come tale, assume valenza penetrale rappresentando il grembo femminile, da sempre fonte inesauribile di vita e rinascita. Trattasi però di un corpo vacuo e primigenio, privo di cognizioni e ancora ignaro della propria natura; nell'attesa d'essere erudito, di acquisire la sapienza e al contempo, sospeso in un'a(e)ssenza che la Tsangari trasla magnificamente mediante un movimento asincrono (memorabile l'approccio alla danza) e l'utilizzo di accentuati slow-motion durante i quali, questo movimento, sfiora l'impercettibilità non solo visiva, ma anche acustica, accoppiando con ingegno a tale tecnica, il caratteristico crepitio del vinile sul giradischi che ha cessato di riprodurre da tempo il proprio suono. I corpi, divengono così oggetto d'impulsiva e reciproca esplorazione e la Tsangari si prepara all'esame; li trasfigura e ne attua una scomposizione svelandone la celata essenza. Plasma una visione radicale e archetipa della femminilità (che trova indubbiamente il maggior estro creativo in alcune sequenze, come il prim(itiv)o confronto tra le adepte/ossesse, con la testa roteata di 360°) per la quale, la donna, è raffigurata come un'interminabile surrogato derivante dal prototipo originale, attraverso una temporalità che si scompone di ricorrenti tappe (prove) e fasi cicliche che finiranno per determinare di volta in volta, tra le discendenti, il consecutivo passaggio alla carica istruttoria. Esemplare, a riguardo, la sequenza manifesto del confessionale, vero anfiteatro di ele(va)zioni e penitenze dove le allieve entrano in competizione tra loro, attraverso l'esternazione di sentimenti fino a quel momento acquisiti come la rabbia e il desiderio, la paura e la gelosia, ma ancora inconsapevoli della loro reale natura femminea, che verrà rivelata solo in seguito; al tempo della successione, allo scadere del loro ciclo vitale, della loro "inesauribile" scomparsa: "The last thing I will teach you is to lack".  
Un'autentica visione post-surrealista...
Benvenuti.

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