Non sono mai stato una persona particolarmente legata ai generi. Certo, come tutti ho i generi che prediligo, ma non mi sono mai fissato unicamente su quelli. Anche perché i miei personali generi di punta sono cambiati drasticamente nel corso degli anni, ma se non altro posso dire di avere l'occhio aperto su un po' tutto - che poi i miei siano gusti di merda è un altro discorso. Ricordo che alle superiori andavo pazzo per le saghe fantasy, poi grazie al Maestro Philip K. Dick mi sono appassionato a un certo tipo di sci-fi per passare quindi agli horror di Stephen King e di Lindqvist, per poi puntare sui grandi drammoni a là Franzen. Ultimamente credo che sia il thriller il genere che sto divorando maggiormente - anche perché ho (ri)scoperto un autorone come Lansdale ed è uscito da poco il nuovo romanzo di Dennis Lehane - e la sfilza di tamarrate che ho visto di recente mi ha fatto venir voglia di un qualcosa che potesse sollevare un attimo il livello culturale di questo blog. Il vedere quindi che più di un blogger che seguo ha recensito positivamente questo The chaser, che oltre che thriller è anche un film coreano, la patria del cinema coi controcoglioni, mi ha spinto alla visione.
Eom Joong-ho è un ex detective corrotto che ha iniziato un'attività nel racket della prostituzione. Negli ultimi tempi molte sue ragazze sembrano essere scomparse nel nulla e, spinto più dalla preoccupazione economica che da quella umana, inizia a indagare, scoprendo che erano state tutte chiamate da un certo cliente. Questi confessa di averle uccise e viene quindi arrestato, ma c'è una complicazione: il ministero comunica che se non si trovano delle prove deve essere rilasciato entro dodici ore...
E' davvero un bel film, questo, ed acquista ancora più valore se si pensa che questo è l'esoprdio del regista e sceneggiatore Na Hong-jin Non siamo di fronte a un capolavoro, ma a una pellicola che, nonostante un intreccio abbastanza contorto, dimostra di essere semplice e umana, qualità fondamentali per piacere al sottoscritto. Ed è anche prova che il genere di appartenenza nella narrativa non è mai motivo d'essere quanto di divenire, perché il semplice scorrere degli eventi è solo uno degli aspetti che rende questa pellicola un film di qualità. Innanzitutto possiamo soffermarci sull'aspetto più basilare, quello della trama e dello svolgersi delle vicende. Il colpevole si scopre quasi subito e, cosa ancora più incredibile, viene arrestato ancora prima del finire del primo tempo. Arrivato a quel punto, come molti, cominciavo a domandarmi come cacchio avrebbe potuto proseguire il film senza annoiare o mantenendo una parvenza di credibilità, ed è proprio lì che avviene il miracolo. Il ritmo è sempre serrato, non ci sono mai cali troppo pesanti e la vicenda si evolve su delle particolari iperbole che, anche a mero livello di storytelling, fanno il loro porco lavoro. La regia è pulita, pur avendo delle naturali incertezze in dei piccolissimi punti data la natura esordiente dell'autore, il quale non si perde in particolari barocchismi tipici di un certo cinema coreano (senza nulla togliere a quel tipo di cinematografia, che io adoro) ma si mantiene su un solido e sostenuto realismo. Pure le battaglie non sono mai particolarmente esagerate, la gente si scazzotta e sembra che lo stia facendo sul serio, senza esagerazioni (non per forza brutte, ma visto lo stile sarebbero state fuori luogo) ma con un realismo di fondo che ti fa sembrare di vivere in prima persona quegli scontri. Ma non tutto si svolge senza pecche, sia chiaro, ed anche qui ci sono dei fattori che mi hanno fatto leggermente storcere il naso, come un paio di deus ex machina che fanno andare avanti la vicenda con delle pure botte di culo e certe scene che forse sarebbero potute essere approfondite meglio al fine di una comprensione più esaustiva. Ma si tratta di cercare il proverbiale pelo nell'uovo, cosa che il mio cagacazzismo mi impone di fare ogni volta, volente o nolente. Cosa giustifica quindi un voto abbastanza alto come questo, quindi? Come ho detto poche righe fa, la narrativa non è mai essere, ma divenire. Un bel film, un film veramente bello, non è mai tale perché fatto bene secondo le regole del genere. Certo, vanno seguite, ma alla fine è quello che vuole comunicare che rende una qualsiasi storia preziosa. Quello che io ci ho visto qui dentro è la ricerca dell'umanità da parte del protagonista, che parte come essere spregevole e verso il quale è naturale provare antipatia se non pure disgusto, visto il modo in cui si guadagna il pane, ma che col passare dei minuti acquista sempre di più quel senso di pietà e volontà d'essere. Tutto parte come un mero tentativo di porre fine al dissanguamento economico della sua discutibile azienda, per poi trasformarsi verso la fine in una questione d'onore. E proprio un personaggio simile, un antieroe, anzi, uno che eroe forse non lo è mai stato e molto probabilmente non lo vuole neppure diventare, è messo in contrapposizione col corpo della polizia, non dei difensori quanto dei burattini che eseguono gli ordini di un'autorità superiore ancora più cinica del nostro protagonista, che alla vita di una probabile ragazza morta preferisce mettere in primo piano l'etichetta e una facciata di buona apparenza. Perché alla fine tutti noi siamo uomini, sia che il nostro ruolo sia quello dei poliziotti o dei papponi, ma spetta a noi l'ultima volontà per mettere a frutto i semi della nostra umanità.
Nonostante le sue leggere (ma pur sempre presenti) pecche, un film che merita di essere visto. La Corea ancora una volta dimostra di essere l'Eden della settima arte!
Voto: ★★★ ½