Questa recensione nasce in seguito ad un dibattito, con il pubblico, dopo la proiezione della pellicola all’interno del cineforum interattivo “(004)Days of summer”.
“The Company Men” è un film forte e poco commerciale, come lo ha definito la rivista The Hollywood Reporter, relativamente alla tematica. Quando è uscito nel 2010, la crisi economica era percepita più pervasivamente negli USA e il regista, John Wells, decide di narrarla a partire dalla crisi finanziaria che l’ha generata: ambienta il film nel mondo dei white collar, i grandi manager di una multinazionale, a turno vittime del ridimensionamento aziendale. La scelta dipende anche dalla biografia di Wells, affermato autore e produttore soprattutto televisivo, che ha voluto ritrarre uno spaccato che ben conosce, essendo anche un dirigente sindacale. A differenza di molte pellicole che vertono su questa tematica, per lo più incentrate sulla “classe operaia” o sui molteplici causa-effetti della crisi come in “Inside Job”, Wells pone innanzitutto l’accento sul problema della ridistribuzione dei redditi. Il protagonista Bobby Walker, interpretato da Ben Affleck, licenziato improvvisamente, si troverà a rivoluzionare tenore di vita e atteggiamento verso la realtà. Inizialmente cerca di difendere le apparenze, non rinuncia alla sua porsche, al suo golf club, alla boria cinica con cui è abituato a trattare la gente. La difficoltà nel reperire un altro lavoro, la rinuncia silenziosa del figlio al video-game preferito e soprattutto il sostegno combattivo della moglie lo porteranno a rivedere la propria posizione e a lavorare come manovale per l’impresa edile dell’odiatissimo cognato, Kevin Costner. Una curiosità: la scena in cui Bobby riceve un guanto da lavoro e una panino per il pranzo da un altro collega operaio sembra anche quella rifarsi alla biografia di Wells, secondo quanto dichiarato in un’intervista in tempi non sospetti, nel 2006. Altra curiosità: sempre nella stessa intervista si fa cenno alla madre del regista, la donna che l’ha sostenuto nella sua scelta di dedicarsi al cinema, a differenza del padre che lo desiderava imprenditore, il cui nome è peraltro molto simile a quello della moglie di Bobby. L’aspetto interessante del film è dato soprattutto dalla diversità con cui ogni singolo manager affronta il licenziamento. Oltre al protagonista, c’è Phil che non riuscirà mai a risalire la china del suo fallimento, Gene che si rigenera ripartendo dal lavoro, da ciò di cui la sfrenata finanza creativa si disinteressa, e infine il grande capo dell’azienda che continua imperterrito e intoccabile a veder crescere azioni e stipendio. Tutto ciò scardina la scena iniziale del film, di forte impatto visivo, in cui i quattro manager vengono ritratti in modo uniforme. Stilisticamente il film non si concede a virtuosismi, sceglie volutamente riprese centrali e linearità di narrazione, con i toni del grigio per fotografare la monotonia di certi ambienti e colori più vivaci, con tanto di immancabili camicie a quadroni, quando si sofferma sulla vita privata o sul lavoro edile. Importante sottolineare la diversità d’approccio alla crisi del grande capo, che si rifiuta di vendere la nuova sede e preferisce licenziare l’amico di una vita, rispetto al piccolo imprenditore che lavora di più, pur di pagare gli stipendi agli operai. Il film trasuda dell’ottimismo e del coraggio che ha animato la carriera di Wells e sembra suggerire la possibilità di ripartire dal lavoro, dal cantiere, per contrastare gli esiti del capitalismo effimero della Borsa. In questo è anche molto americano, si respira l’orgoglio di una popolazione che non vuole rinunciare al sogno di sempre. Americana è anche la colonna sonora intrisa di sonorità indie rock dei Future Islands e degli Eels. Come ci si aspetta dal titolo e dalla composizione di certi ambienti lavorativi, il film è molto maschile, nel senso che il focus è sulle psicologie dei vari uomini, e pure se la moglie del protagonista ha un ruolo positivo e di grande amministratrice domestica, di lei come delle altre ci viene detto poco, se non in funzione di ciò che accade ai loro mariti. Il finale non è il solito happy ending, Bobby ritorna a fare il manager, ma ripartendo da una sede molto poco blasonata e dall’impegno suo e dei suoi collaboratori, “e se questo non dovesse funzionare, che cosa potrebbe accadere di male? Essere nuovamente licenziati”.
Voto 7,5/10