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Trama: all'attrice Robin Wright, ritenuta ormai troppo vecchia per continuare a recitare, viene offerta l'opzione di farsi "scansionare" e lasciare che sia il suo doppio virtuale, eternamente giovane, a partecipare ai film scelti dalla Miramount. Presto, tuttavia, anche questa nuova tecnologia diventa obsoleta..
Non avendo mai letto un libro di Stanislaw Lem, sempre a causa di una mancanza di interesse verso la fantascienza, non avevo proprio idea di cosa aspettarmi quando ho cominciato a guardare The Congress... e, detto proprio sinceramente, non ho idea neppure ora di cosa ho effettivamente guardato. La prima parte della pellicola di Ari Folman è una malinconica ed intelligente riflessione sul mestiere dell'attore e sulla fredda logica dell'industria cinematografica. Robin Wright, che nel film interpreta se stessa, viene ripetutamente e dolorosamente accusata di aver fatto le scelte sbagliate, di aver preferito rimanere accanto al figlio affetto da una sindrome che lo condannerà a diventare cieco e sordo, di non essere più la Principessa Bottondoro de La storia fantastica o la Jenny di Forrest Gump: in poche parole, le si contesta il fatto stesso di essere umana ed imperfetta. A contestarglielo sono l'ormai attempato agente Al che, a un certo punto, confessa anche di aver manipolato a proprio vantaggio la sua fragilità e le sue imperfezioni e, ovviamente, il direttore dell'ambigua azienda Miramount, il quale non si fa scrupoli a ricordarle come un attore sia fondamentalmente un burattino da manipolare e sfruttare per poi buttarlo via quando è troppo vecchio per essere ancora apprezzato dal pubblico. Sicuramente, i ragionamenti di questi due personaggi sono perlomeno discutibili quando non addirittura abietti ma fermiamoci un attimo ad osservare quel mondo cinematografico che tanto adoriamo. Obiettivamente, quanti attori un tempo assolutamente infallibili, capaci e meravigliosi (vedi, per esempio, un Robert De Niro qualsiasi o anche un Johnny Depp), sono diventati col tempo le caricature di sé stessi, imbarazzanti persino per i propri fan? Asservirsi ai voleri delle Major o, peggio, essere incapaci di capire quali film possano essere adatti alla propria età e al proprio fisico che, inevitabilmente, declina, è il destino peggiore per ogni attore che si rispetti; piuttosto che vivere nell'ansia di fare la scelta sbagliata, forse è meglio accettare un'offerta di libertà e scegliere di essere un semplice "civile", rimanendo nei cuori degli spettatori per ruoli memorabili. Purtroppo, in The Congress questa libertà va pagata a caro prezzo, vendendo l'anima a chi si preoccupa solo del profitto e il corpo allo spettatore bue che vuole sempre i soliti personaggi, sempre le solite franchise, la possibilità di vivere in eterno, attraverso i propri idoli, un sogno privo di imperfezioni. E qui, il ragionamento di Folman si fa più complesso.
Se la prima parte di The Congress, infatti, è malinconica, intelligente (a tratti geniale, si veda il film in bianco e nero che cita ampiamente Il dottor Stranamore e il look di Blade Runner) e lineare nella sua critica a un certo tipo di sistema, la seconda parte può venire tranquillamente racchiusa nella voce del verbo "sbulaccare". Folman sbulacca, abbandona la cinepresa e si immerge in un delirio psichedelico di disegni animati, una roba che al confronto Cartoonia e Mondo Furbo erano dei modelli di conformità. La tecnologia che, nel film, permetteva agli attori di vivere per sempre giovani grazie alla computer graphic si evolve infatti in una sostanza da inalare per diventare "altro", l'ambigua Miramount diventa la versione moderna del terzo Reich (non a caso il teatro dove si svolge il congresso all'interno dell'Abrahama è stato modellato su quella Grosse Halle che Hitler avrebbe voluto costruire) e tutta l'umanità "vive" persa in, letteralmente, film mentali individuali in grado di dare sì origine a un mondo di sogno, ma un mondo di sogno sterile, che non crea nulla e si limita a distruggere o, meglio, a lasciar morire, a consumare l'esistenza. La lenta fine dell'umanità si mescola alle paure e ai desideri di una Robin Wright che non vuole e non può inserirsi in questo mondo e, purtroppo, si perde in sequenze animate bellissime ma anche troppo dispersive, allucinate e quasi fini a sé stesse. Sono pochi i momenti di vera emozione e commozione che le immagini di The Congress riescono a suscitare nello spettatore, il tentativo di comprendere la pellicola di Folman viene reso difficile dal fatto che, troppo spesso, sembra di assistere alla visione individuale di un Autore che ha inalato egli stesso la sostanza prodotta dalla Miramount. La disperazione di Robin Wright è palpabile, tutto ciò che la circonda è incredibilmente affascinante e lo stacco tra sogno e cruda realtà è sconvolgente; eppure, mentre la prima parte del film riusciva a mantenere una coerenza e una certa linearità, la seconda è totalmente libera da vincoli, da struttura, da qualcosa che possa dare un senso a tutto ciò che viene mostrato.
Forse Folman ha ragione perché il senso non sempre deve esserci in un film, sono d'accordo. E forse sono io ad essere così crassamente ignorante da chiedermi, davanti a tutto questo popò di arte e questo balsamo per gli occhi, come facciano gli esseri umani mostrati in The Congress ad essere vestiti (per quanto scarmigliati), a mangiare o essere ancora vivi se la loro mente vede solo ciò che si trova nel sogno. Forse a volte bisogna solo lasciarsi andare e non pretendere di capire tutto o di emozionarsi per ogni cosa, accontentandosi di una sola piccola lacrima sul finale. Forse, semplicemente, The Congress merita più di una visione. Non lasciatevi quindi spaventare da quello che ho scritto dopo averlo visto una sola volta e dategli una chance perché, a dispetto del disagio (senso di inadeguatezza?) che ho provato, indubbiamente parliamo di uno dei film più innovativi e particolari degli ultimi tempi.
Di Robin Wright (Robin Wright), Harvey Keitel (Al), Jon Hamm (la voce originale di Dylan Truliner), Paul Giamatti (Dr. Barker), Kodi Smit-McPhee (Aaron) e Danny Huston (Jeff) ho parlato ai rispettivi link.
Ari Folman è il regista e sceneggiatore della pellicola. Israeliano, ha diretto altri tre lungometraggi, tra cui Valzer con Bashir. Anche sceneggiatore, produttore e attore, ha 51 anni.
Il regista aveva inizialmente pensato a Cameron Diaz o Cate Blanchett per il ruolo principale ma alla fine è rimasto talmente affascinato da Robin Wright da cambiare idea. Detto questo, se The Congress vi fosse piaciuto recuperate anche Sim0ne o Cloud Atlas. ENJOY!
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