Dramma o thriller? Nessuno dei due. L’ultimo di Ridley Scott è sicuramente un film per pochi. Una pellicola fuori dal comune, quindi. Ma, certo, non un capolavoro. Lo definirei più un film denuncia. Duro, con tanta carne al fuoco, ben recitato.
Gli ingredienti essenziali sono tre: brutalità dei cartelli criminali, dissolutezza dei costumi contemporanei, violenza pura nell’uomo. In altre parole, The Counselor si scaglia contro il male. Quello vero, che assume le sembianze della ninfomane Malkina (una Cameron Diaz in gran forma). Lei è l’amante carnale per eccellenza. Ma anche la perfida dea del marcio. Il simbolo del maligno, dunque. La passionale freddezza dell’Übermensch.
Il reale obiettivo di Scott è comunque il mondo che conta. Quello dei dollari sporchi di sangue. Ciudad Juarez, Messico. Il cartello di Sinaloa. Sempre presente, eppure mai citato nel film. Il procuratore (Michael Fassbender) è un avvocato in cerca di facili guadagni. Perciò si mette in affari con Reiner (super Javier Bardem!) e tramite il losco Westray (Brad Pitt, versione cowboy) entra nel mondo nero della malavita. Da quel vicolo però non c’è mai via di fuga. Il ragno può risucchiarti velocemente, se cadi nella sua tela.
Pallottole, dialoghi riflessivi e sessualità volutamente ostentata. Il tutto in poche scene. Il resto è una sceneggiatura efficace, ideata da quel Cormac McCarthy che scrisse Non è un Paese per vecchi. In definitiva Ridley Scott prosegue la personale e velata battaglia contro il potere corrotto (mafiosi, affaristi, politici), nel filo conduttore di American Gangster e Nessuna Verità. Ci insinua il dubbio, mostra il male che persuade e un bene troppo spesso fragile.
A buon intenditor.
Paolo Fassino