Anno: 2013
Distribuzione: 20th Century Fox
Durata: 117′
Genere: Poliziesco, Drammatico, Thriller
Nazionalità: Gran Bretagna, USA
Regia: Ridley Scott
E’ uno di quei rari casi in cui il nome dello sceneggiatore conta come e più di quello del regista, in cui si becca lo stesso numero di titoli sui giornali. The Counselor, nuovo film di Ridley Scott, attrae l’attenzione degli appassionati per il nome in sede di sceneggiatura di Cormac McCarthy, scrittore americano di La strada e Cavalli selvaggi, tra i più celebrati, e che a 80 anni dedica la sua penna cinematografica a uno script originale per il grande schermo. Lavoro che però non gli rende giustizia.
Un avvocato di successo, in un momento di difficoltà professionale ed economica ma innamorato della sua fidanzata Laura, decide di accettare la proposta di un suo vecchio cliente affiliato alla malavita messicana di prelevare un carico di cocaina del valore di 20 milioni di dollari oltre il confine messicano. E così, in seguito ad una catena di eventi apparentemente casuali, sarà inevitabile per l’avvocato venire risucchiato nell’abisso di quel mondo. Thriller sudista, versione nera del western dell’autore, in cui l’alta finanza si mescola con l’abiezione del confine meridionale, The Counselor è a suo modo un doppio melodramma che diventa sempre più bollente con la crescita del suo coté criminale.
Ma questa tela criminale al color bianco è tarpata dal rapporto, in senso filmico, tra McCarthy e Scott, perché è come se della sceneggiatura il regista avesse colto solo la densità e la bellezza dei dialoghi, dei monologhi, degli attimi perfettamente letterali o teatrali che non diventano mai cinema forte, memorabile: prova è il racconto dell’amplesso che Cameron Diaz ha con la Ferrari gialla, scritto per essere di culto ma che diventa grottesco imbarazzo, quasi anti-erotica. Forse un effetto voluto, ma è una delle non poche sbandate del film, che ha il pregio di costruire un bel crescendo fatto di atmosfere e sottintesi, quasi straziante.
Alla fine, resta così l’amaro in bocca di un film di cui ci si chiede quale sia il senso, lo scopo finale, dato che anche quello del semplice piacere del racconto e dei personaggi è limitato da uno Scott che sembra uno Stone ripulito, che risparmia in sorprese e colpi di genio in contrasto con una scrittura fatta praticamente solo di scene madri, o comunque di “numeri” di alta scuola, che ne rallenta la struttura e consente a Bardem di gigioneggiare impunemente. Forse anche noi saremo cinici, come dice Brad Pitt, e cerchiamo le imperfezioni, ma il film non fa molto per renderci più romantici e benevoli.
Emanuele Rauco