
Ci sono due file di persone che camminano al lato destro e al lato sinistro della strada: principalmente giovani, tutti uomini. Hanno magliette di Inzaghi, di Messi, di Rooney, camminano ballonzolando, veloci ma senza fretta. Lo stadio di Khartoum si sta svuotando al ritmo di un'enorme clessidra dopo la sconfitta ai rigori della squadra di casa nelle semifinali dalle CHAN, il campionato d'Africa per nazioni. Il sole è tramontato, in lontananza si sente ancora l'eco del richiamo alla preghiera di un muezzin ritardatario. La strada è avvolta nel buio e nella polvere, si vedono solo gomiti e mani e gambe. Le teste si girano tutte all'unisono quando passa un convoglio di limousine nere con i vetri oscurati. Sono uscite dai cancelli dell'ala VIP dello stadio. La gente cerca di scoprire chi si nasconde lì dentro. Sarà Blatter? Michel Platini? Hayatu il presidente della Confederazione Africana di calcio? Oppure un notabile locale, o il rappresentante di una delle società che sponsorizza l'evento?
No dietro quel vetro ci sono io, in giacca e cravatta, lo sguardo perso nella moltitudine. A fianco a me un mio collega, anche lui assorto nei suoi pensiri oppure semplicemente esausto dalla giornata. Nessuno parla. L'autista in divisa si tiene incollato alla macchina davanti per non rompere il convoglio. Le luci intermittenti della moto di scorta illuminano di giallo le facce dei curiosi. Dietro di loro il buio e dietro il buio il Nilo.
La macchina si smarca dalla folla, prende un po' di velocità, si affianca a quella davanti quasi a volerla superare. Attorno non c'è più nessuno, solo insegne luminose di negozi vuoti. La macchina passa un semaforo rosso, poi un altro incrocio in cui il traffico è stato fermato dalla polizia. A fianco del marciapiede ci sono delle sedie. Illuminati da una luce fioca del lampione degli uomini fumano il narghilé. Non sento le loro parole, né l'odore dolce del tabacco aromatizzato alle mele. La macchina gira a sinistra, le ruote stridono sul fondo di mattonelle lisce. Si ferma di fronte alla porta vetrata di un edificio di sedici piani a forma di vela. E' il posto dove mangio, dormo e organizzo riunioni informali. Prima di oggi ero solo uscito per giocare a calcetto in un pezzo di erba e terra tra il parcheggio ed un magazzino contro la squadra dei dipendenti dell'albergo: alti, veloci, tecnici. Noi burocrati zurighesi - lenti, vecchi e affannati - sembravamo destinati a una rapida e inesorabile disfatta. E invece abbiamo vinto. Alla fine, piu che tutte le parole, i discorsi e le fotografie, la vera soddisfazione della settimana è stata quella.





