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The Forest

Creato il 20 ottobre 2010 da Eraserhead
The ForestPiotr Dumala è un talentuoso animatore polacco nato a Varsavia nel 1956 che è sulla scena (underground) dal 1981. I suoi “cartoni” non sono definibili come tali dal nostro immaginario comune – e a tal proposito vi consiglio caldamente di buttarci più di un occhio su iutub –, poiché cupi, nerastri, funerei, ma soprattutto realizzati grazie a una particolare tecnica denominata in inglese destructive animation, o in italiano senza renderle giustizia animazione del gesso, che, posizionata adeguatamente una mdp per riprendere l’atto, consiste nel graffiare tramite opportuni strumenti una superficie di gesso pitturata con vernice nera.
Con Las (2009) Dumala si allontana per la prima volta nella sua carriera dal mondo animato, ma non del tutto perché l’incipit è quasi un corto animato a sé stante, per scalfire la pellicola aprendo così lo sguardo verso un mondo reale senza però smarrire del tutto la sua carica immaginativa, anzi essa diviene una componente fondamentale del lungometraggio.
The Forest è un film che si legge facilmente attraverso una duplice natura costituita da complessi sentimenti. Il procedere del film realizzato in un tarriano bianco e nero inquietantemente sonorizzato, è costituito da un parallelismo reversibile che sdoppia i meccanismi della diegesi.
Qui c’è una casa accogliente, pochi mobili, lo stretto necessario, una stufa che strepita in cucina.
Là c’è una foresta enigmatica abitata da lucertole sinistre dove la vista si perde nella nebbia che tutto ingloba.
Qui c’è un figlio che si prende cura del padre in uno stato semi-vegetattivo lavandolo, pulendolo, nutrendolo.
Là c’è un padre che si prende cura del figlio proteggendolo dalle insidie del bosco con modi burberi ma efficaci.
Qui c’è un figlio che si addormenta su una sedia mentre il padre cade dal letto.
Là c’è un padre di fronte alla salma del figlio posta su un feretro infuocato.
Qui e là, padre e figlio. Intercambiabilità dei ruoli, della necessità di stare vicino all’altro nei momenti di difficoltà (si noti che anche il babbo scontroso medica il dito tagliato del suo figliolo), di una tenerezza muta e un rispetto recondito che somiglia più che mai all’amore (quando il figlio dà da mangiare al papà che rifiuta il cibo e viceversa), dei sensi di colpa che scoppiettano nella legna o in un falò mortuario (il terribile gesto del padre è la traduzione rovesciata di ciò che è successo: il figlio che per un attimo si era allontanato da lui e che indirettamente ne ha provocato la morte), fanno sì che il qui possa diventare il là, come che padre e figlio si scambino di persona in un luogo onirico che contiene ampi margini di indeterminatezza.
Indeterminatezza appunto, d’altronde nulla ci viene assicurato su quale sia la vera realtà narrata, essa potrebbe essere lo scenario casalingo al pari di quello boschivo, di certo entrambe le vedute si completano a vicenda e impreziosiscono una pellicola che è un gioiello luminosissimo sebbene esteriormente privo di colori (Tarr dice che il b/n è più colorato del colore) ma interiormente ricco di abbaglianti sfumature.
E poi, a suggellare il tutto ci pensa quel fiume (Acheronte?) che il padre discende a bordo di una barchetta di legno, così come di legno è il letto spoglio e ormai vuoto su cui il figlio si sdraia. Dopo ci sono i titolo di coda, e ancora dopo c’è la certezza di aver assistito ad una miracolosa manifestazione di Cinema.The Forest

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