“Escucha como el viento me llama galopando para llevarme lejos”
La casa sulla spiaggia sporgeva a strapiombo degli scogli e affacciava su un pezzo di costa che prendeva la forma di una mezza luna ancor più mozzata.
La parete rocciosa che si atteggiava a prua di una nave naturale e scoscesa si muoveva immobile ma riparava il luogo dal vento dell’ovest che spirava forte, mantenendo l’acqua della sua consistenza di seta e facendo danzare le onde a ritmo di un blues lento.
Ricardo si svegliava di buona mattina, ogni giorno, prendeva il suo cappello di paglia e il suo taccuino in pelle di lontra, un carteggio personale che gli veniva regalato all’occorrenza da un suo amico di Lima, e prendeva posto fuori, su un balconcino intagliato nella roccia dove aveva installato un tavolo di legno e due sedie pieghevoli, di quelle che trovi solo nei paesini di bassa provincia.
Si sedeva, come di consueto, in faccia al mare.
Sul tavolo Matilde conservava un cesto di frutta più per ornamento che per effettiva utilità cibarie, nei suoi gesti programmatici e ormai spontanei che rientrano nel quotidiano domestico.
Ricardo non si destava mai prima dell’alba. Anche se il sonno cominciava a diventare sempre più precario per un uomo della sua età, preferiva restare a letto e attendere che il sole divenisse possente e certo, rassicurante.
Le albe, sosteneva, sono meravigliosi artifizi scenici per uomini che ancora prendono a morsi la vita e non hanno paura del domani.
Il tramonto invece, il crepuscolo, rappresenta la bellezza della negazione, della fine, in tutta la sua distesa di colori caldi che preannunciano la venuta del buio più sensuale. Se l’alba si apre al rumore, il crepuscolo va alla ricerca del silenzio.
Matilde uscì fuori alzandosi la chioma riccia e corvina. Era una donna bella, mediterranea, la pelle sfumata da tinte petrolio, gli occhi neri, profondi, come quelle grotte intarsiate nel mare.
Poggiò le mani sulle sue spalle, e chiese se volesse il caffè. Matilde non sapeva farlo, il caffè, e Ricardo lo sapeva, ma non denigrava mai l’invito, per non interrompere quella pratica confidenziale e genuina, per non tediare la sua compagnia, quasi a sancire un compromesso d’amore che passa anche dai difetti reciproci.
Poggiò la sua mano su quella di lei sporgendo il braccio all’indietro. Un contatto d’intesa, come se ne vedono tanti, ma per Ricardo rappresentava qualcosa che andava oltre, un affetto complice, un “mantenersi”, anche solo sfiorandosi appena, una mattina d’estate.
“La senti l’Estate Matida?” gli piaceva storcere il suo modo dandogli misure di vezzeggiativi dolci.
“La sento, la sento” e tirò un lungo sospiro. “ma io attendo il vento. Vorrei che ci sia il vento Niño. Che porti frescura e movimento, perché la troppa pace porta tristezza..”
“Il vento”…. Ricardo resto a pensare, mentre Matilde rientrò in casa per preparare il caffè.
Aprì il taccuino e iniziò a cercare qualcosa tra le pagine.
Oh estate abbondante,
carro di mele mature,
bocca di fragola in mezzo al verde,
labbra di susina selvatica,
strade di morbida polvere sopra la polvere,
mezzogiorno,
tamburo di rame rosso,
e a sera riposa il fuoco,
la brezza fa ballare il trifoglio,
entra nell’officina deserta;
sale una stella fresca verso il cielo cupo,
crepita senza bruciare
la notte dell’estate.
Sorrise. Era così che vedeva l’estate. Un carnevale di frutta, polpa emotiva, rumori, sera ruggente, notti stellate.
Ma non c’era il vento…come se fosse un arpeggio di poca importanza, superfluo, senza una precisa veste.
Ricardo rimase in silenzio il tempo che Matilde ritornasse munita di una tazzina e di una moka.
Si sedette di fronte a lui. Le piaceva guardarlo, contemplare il percorso che le sue rughe solcavano sul viso.
Le piaceva sfidare quell sorriso sornione, quegli occhi abbassati e malinconici, quella bocca carnosa ma spesso serrata.
Si allungò verso di lui e gli porse una carezza.
“Che hai? Che accade?”
Ricardo accennò una curva delle labbra, godendo di quell’ennesimo gesto che portava tutta la grazia e l’appagamento che solo un amore virale e cresposo potevano donare.
Spostò la sua visuale verso il mare.
“Parlami del vento, Matida”. Cos’è il vento. Per te.”
Lei sorrise. Si inclinò all’indietro tenendo le spalle adiacenti il busto della sedia, e mirò anche lei il mare.
“Il vento è veloce, Amorcito” “è come un cavallo selvaggio, sulla sabbia. Libero, vigoroso, che non cessa la sua corsa.
Il vento d’estate è così.
É un vento benigno, che non disturba, che si fa ammirare. Proprio come la corsa di un cavallo.”
“Il vento porta lontano. Su per il cielo. Dentro il mare.”
Matilde tacque e guardò Ricardo.
Lui non la guardava, perchè già perso nell’orizzonte, a dondolare sull’amaca dei suoi pensieri.
Capì che doveva lasciarlo da solo. A pensare, a scrivere.
Come spesso accadeva, Matilde restava dentro casa, anche per ore, usciva da sola e rincasava la sera per ritrovare il suo Amato ancora fermo sul balcone. Scriveva e rubava le parole fino a notte.
Scriveva. Ed erano parole di una bellezza non terrena. Oltre la costa, oltre il ciglio del mare. Sparse in un universi reconditi. Meravigliose.
La donna si alzò, senza fare rumore, in quel gioco consueto già vissuto, già manifesto.
Ricardo non la vide, non poteva sentirla.
Dopo qualche ora in quello stato di calma apparente, aprì con fare delicato il taccuino, prese la penna, si inclinò lievemente sul foglio, il cappello ad ombra di ogni distrazione, e cominciò:
il vento è un cavallo:
senti come corre
per il mare, per il cielo.
Vuol portarmi via:
senti come percorre il mondo
per portarmi lontano.
Nascondimi tra le tue braccia
Per questa notte sola,
mentre la pioggia rompe contro il mare
e la terra la sua bocca innumerevole.
Senti come il vento mi chiama
galoppando per portarmi lontano.
Con la tua fronte sulla mia fronte,
con la tua bocca sulla mia bocca,
legati i nostri corpi all’amore
che ci brucia,
lascia che il vento passi
senza che possa portarmi via.
Lascia che il vento corra
coronato di spuma, che mi chiami
e mi cerchi galoppando nell’ombra,
mentre, sommerso
sotto i tuoi grandi occhi,
per questa notte sola
riposerò, amor mio.
Era ormai giunta la notte. Posò la penna sul ventre del foglio.
Si voltò verso il mare che non aveva più volto, coperto dal buio profondo di un cielo con pochissime stelle.
D’un tratto iniziò a percepire che un vento leggero e flebile si era alzato, muoveva le foglie della pianta posata sui bordi della ringhiera del balcone, muoveva le pieghe della sua camicia e muoveva, sfiorandole, le onde di quel mare dal colore dell’inchiostro.
Sorrise Ricardo, ritornò a scrutare il foglio per l’ultima volta, afferrò la penna e siglò la sua firma su quelle lettere portate dal vento, diventate vento, in una notte d’agosto.
Ricardo Neftali Reyes Besoalto
In arte Pablo Neruda
Strade Parallele - Giuni Russo feat. Franco Battiato
Whispering Wind – Moby
Due Soli – Radiodervish
Be like wind – Pearl Jam
Lu Rusciu de lu mare – Allabua
https://www.youtube.com/watch?v=0jryWN38HfQ
Come il vento – Lucio Dalla
Good Evening – Gramatik
Birdenbire – Yasemin Sannino