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David Moran è un broker finanziario dalla vita relativamente tranquilla, tormentato da un ricordo terrificante che evoca la sua adolescenza: l’amicizia con una vicina di casa (Meg), e l’evoluzione imprevista del suo rapporto con la ragazzina…
In due parole. Brutale messa in scena che evoca “Stand by me” da un lato e le ciniche sevizie di “A Serbian film” dall’altro. Ma qui la vicenda non segue il ritmo avvicente del racconto di King, e la violenza non sottintende alcuna metafora politico-sociale: si tratta di una spiazzante rappresentazione fondata sulla realtà (il soggetto è ispirato ad un pazzesco fatto di cronaca), a tratti surreale, senza una vera motivazione e con qualche “crepa” narrativa romanticheggiante nel finale. Impossibile, in ogni caso, restare indifferenti ad una simile carovana di orrore quotidiano: non per tutti.
“The girl next door” (un titolo solo apparentemente “innocuo”) è un horror ispirato al romanzo di Jack Ketchum, che a sua volta prende ispirazione dal delitto avvenuto nel 1965 ai danni di Sylvia Likens (Stati Uniti). Un avvenimento di cronaca piuttosto inquietante che vide nello scenario dell’America degli anni 60 una donna (Gertrude Baniszewski) adottare due ragazzine di 15 e 16 anni – Sylvia e la sorella Jenny – e, dopo qualche tempo, non solo abusare di una di loro, ma arrivare a torturarle crudelmente ed a simulare la fuga di Sylvia dopo averne occultato il cadavere. Il film in questione segue, in modo piuttosto fedele, questa falsariga: tant’è che qualcuno (tutti?) ha(nno) scomodato la solita locuzione banalizzante che è d’obbligo usare da Hostel in poi (torture porn) ma a ben vedere i contorni delle sevizie narrate non assumono nulla di pornografico in senso proprio del termine: anzi, la desolazione della stanza in cui avvengono le sequenze più insostenibili evoca il nulla, il nichilismo più feroce ed insensato che si possa concepire, in cui il gusto della tortura è finalizzato alla sottomissione di un gruppo di minorenni alle volontà di un adulto. Un qualcosa che, fatte le dovute proporzioni, c’entra poco con la violenza su registri decisamente differenti – a confronto fumettistici, oserei scrivere – del pluri-citato film di Eli Roth, che finisce per avere in comune con quello di Wilson solo l’anno di uscita.“The girl next door” evoca quanto hanno saputo costruire con grande perizia i Manetti Bros. nel loro Paura 3D (anche lì, guarda caso, l’ispirazione è legata ad una storia vera in parte similare: quella di Natascha Kampusch, sequestrata per otto anni da Wolfang Priklopil). Wilson è stato molto abile a rappresentare la violenza occulta insita in uno scenario di quartiere apparentemente irreprensibile, e nel fare questo non si è fatto prendere la mano da una rappresentazione esplicita o compiaciuta delle sevizie che, di fatto, sarebbero state inutilmente “aggressive” verso lo spettatore: basta solo accennare, inquadrandole spesso fuori campo, le punizioni corporali e la violenza (sia fisica che psicologica) che la madre-matrona esercita sulle figliastre come anche, in effetti, sui figli e sui loro amici. Di fatto (e questo aspetto sembra testimoniato dalla cronaca, peraltro) l’unico adulto in gioco finisce per condizionare e contaminare con la propria immoralità gli adolescenti di cui si circonda, generando un meccanismo perverso secondo cui le normali pulsioni sessuali – quelle che spingono i giovani a guardare le foto di Carroll Baker o spiare Meg mentre si cambia dalla finestra – diventano solo ed esclusivamente atti di sopraffazione. Come se fosse davvero normale, per non dire ordinario, che degli adolescenti apparentemente garbati e ben pettinati sevizino una coetanea sotto la supervisione di un adulto. Ed è davvero inquietante osservare come tale meccanismo venga innescato proprio da una donna, in un crescendo di crudeltà subdolo, imprevedibile e difficile da riportare in forma scritta (perderebbe efficacia e diventerebbe banale exploitation). La violenza non assume neanche la valenza estetizzante teorizzata a più riprese dai registi di genere di ogni ordine e grado: è “solo” (si fa per dire, ovviamente) prodotto di menti contorte, realmente esistenti ed oppresse da mali non raccontabili, le quali sfogano la propria frustrazione sui più deboli: questo è quanto, piaccia o meno. E lo stesso David, rappresentato in maniera un po’ semplicistica come “l’eroe” della vicenda – difficile trovarne in questo film, di eroi – non è altro che l’occhio dello spettatore, voyeuristicamente attratto nel turbine, tramortito e disgustato dalle scene a cui è costretto ad assistere, con le mani letteralmente legate, salvo poi assistere alle sevizie come fosse l’ennesimo film del terrore. Un bivio morale, insomma, che scatenerà discussioni e lotte interiori nei vari protagonisti e, probabilmente, negli spettatori anche solo con un briciolo di umanità in più del killer Henry. “The Girl Next Door” è una sequenza interminabile di sopraffazione con assurde motivazioni moraliste, odio folle e sevizie sadiche che scatenano impotenza e rabbia, e rimarranno impresse nella mente degli spettatori per molto tempo, lasciando al contempo una storia toccante, ben girata, sensata e priva di sottigliezze inutili anche se, a ben vedere, con qualche tocco di romanticismo di troppo. Dire che il finale sia un happy end è quasi certamente sbagliato, sta di fatto che il cambio a cui assistiamo alla fine appare forse troppo repentino e sembra essere, di fatto, l’unica vera nota stonata del film. Quasi una giustificazione a quanto si è visto, come a dire “scusate tanto, ma il romanzo era tutto così: ora… volemose bbene” : in questi casi, comunque, il giudizio sarà espresso inequivocabilmente dallo spettatore, mentre “The Girl Next Door”, disponibile al momento in cui scrivo solo sul mercato inglese sottotitolato in italiano, rimarrà un film che non lascia scampo, un prodotto non certo per tutti.