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Tutto, insomma, gira intorno a Virginia Woolf e a uno degli incipit più noti della letteratura del '900: Mrs Dalloway said she would buy the flowers herself. Ma la protagonista del romanzo pubblicato dalla Hogarth Press nel 1925 non è presente in The Hours (1998) di Michael Cunningham: quella è una storia da farsi, rivissuta sulla pelle e nella storia della sua autrice e di due donne legate alla sua lettura e a un'identificazione persino imbarazzante. In questo romanzo, scritto con autentica sapienza di stile, capace di ritagliare ritratti di donne, sagome di infelicità urbana e di inesauribile bovarismo, manca proprio Mrs. Dalloway, come se avesse infine comprato quei fiori e li avesse lasciati lì, per l'eternità, a sostituire il suo silenzio.
The Hours di Michael Cunningham è una storia di richiami, di rimandi, di fili che si intrecciano, si dipanano, lasciano trapassare quel tanto di luce a rischiarare qualche ora, giusto qualche intervallo. Qualche parentesi in questo brancolare in un mondo che non si capisce, non si afferra. È un romanzo costruito benissimo, con un equilibrio e una dosatura degli umori, degli eventi da far invidia a un Maestro; ma The Hours è anche volutamente (e, direi, a suo modo anche coraggiosamente) sbilanciato nel tratteggiare esseri umani affannati, irrequieti, che non si capisce quale vita rifiutino, se la loro vita è chiusa in un orizzonte ristretto che si sono costruiti con le loro mani.
Direi anche che Michael Cunningham ha costruito una storia di donne e uomini omosessuali, come se Virginia Woolf fosse il presupposto essenziale per una certa cultura queer (che invece mi risulta essere molto meno elegante e riflessiva, pur essendo sofisticatissima e degna di intere squadre di cultural scholars). O come se la lettura, che so io?, di Orlando non riuscisse a portare che a certe scelte esistenziali (non mi riferisco, è chiaro, all'essere gay, ma al viverlo inquadrandosi in panorami di senso più o meno seriali). Pur riconoscendo all'autore una capacità quasi innaturale di rappresentare le sofferenze e le gioie del proprio senso di inadeguatezza al mondo, e al superamento dello stesso, mi sembra giusto sottolineare che tutta questa realtà, che tutta questa forza dei personaggi sembra sopravvivere in un orizzonte di carta.
The Hours è un'ode alla letteratura e al suo peso nella vita di chi se ne fa una ragione esistenziale. E tuttavia il romanzo di Michael Cunningham finisce col diventare una rete, una trappola claustrofobica che lascia guardar fuori - è probabilmente così che si deve sentire un fantasma - e ti inchioda a certe inquietudini, come la malattia, la morte, il successo, le speranze, l'approvazione personale degli altri o dell'intera tua rete di rapporti. Si possono anche condividere in parte o totalmente, ma hanno anche un che di inattuale. Nel suo scrupolo di bilanciare tutto, tempi e regioni del mondo, scritture e loro scopi, compresa un'anteprima del film che ne verrà tratto, Michael Cunningham fa di The Hours una specie di scrigno, un regalo chiuso, dove le rose appassiscono. E sono tutto ciò che rimane.
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