Magazine Cinema
Fino a quella terribile mattina del 26 dicembre in cui uno tsunami travolge tutto e tutti.
La famiglia è divisa, Henry con Thomas e Simon da una parte , Maria con Lucas, il figlio più grande dall'altra.
E miracolosamente riescono a riunirsi.
La storia narrata in The impossible è davvero una di quelle storie che sembrano scritte da uno sceneggiatore hollywoodiano in astinenza da zuccheri e che quindi ne mette a piene mani in quello che racconta.
Ma è assolutamente vera e quindi bisognerebbe mettere da parte ogni moto di disapprovazione per la gran messe di curiosi disegni del destino che in questo film appaiono in tutta la loro stravaganza.
Però quando è troppo...
Porte girevoli , storia di sfioramenti in un corale inferno di dolore, un pallone rosso che diventa quasi il deus ex machina a cui appigliarsi per avere la speranza.
E poi abbracci e baci in quantità industriali, gesti di cuore a profusione, il ritratto di un'umanità solidale i cui singoli elementi non badino soprattutto a se stessi ma solo al bene del prossimo.
Sarà tutto bello, soprattutto sarà tutto vero ma a mio modestissimo parere dal punto di vista registico Juan Antonio Bayona si gioca parecchio male le sue carte.
Se l'incipit e tutta la parte in cui grazie a ottimi effetti è visualizzata la furia distruttiva dello tsunami, ha una marcata ( e convincente) impronta horror che rivela più di un'affinità con quanto già visto nell'eastwoodiano Hereafter, poi il film si sposta interamente su territori melodrammatici, ma di quelli lacrime e sangue.
Si susseguono quasi senza soluzione di continuità sequenze di tasso zuccherino talmente elevato da essere insopportabile dal salvataggio del bimbetto biondo, il piccolo angelo caduto nell'inferno, al ritrovarsi di Lucas a essere un piccolo messaggero che trova malati e ricongiunge famiglie, fino ad arrivare dopo le solite traversie del fato al ricongiungimento familiare , atteso da quasi due ore che si risolve nel modo più melenso e retorico possibile con la cinepresa a sottolineare ulteriormente questo momento.
Ecco, credo che con un copione come questo a rischio di far venire un coma diabetico a quei poveri spettatori ancora interi dopo lo tsunami, la cosa migliore sarebbe stata sottrarre retorica e melodramma a un momento del genere e invece Bayona sembra quasi bearsi di questo tipo di sollecitazione emotiva, cercando di evocare lacrime a viva forza.
L'effetto per quanto mi riguarda è stato controproducente : se magari all'inizio si sta buoni e tranquilli perchè comunque quella è una storia vera , poi mano mano che procedono i minuti gli espedienti lacrimogeni si fanno sempre più prepotenti e viene progressivamente meno la sospensione dell'incredulità che è soppiantata da un rifiuto totale a credere che quello che passa sullo schermo sia realmente accaduto in quei termini e non sia stato "aggiustato " cinematograficamente.
Bayona non riesce a camminare su quella linea , in verità parecchio sottile, che divide la storia vera dalla pornografia del dolore in attesa del lieto fine liberatorio.
Francamente mi è sfuggita la bravura di Naomi Watts in questa parte da piagata e addolorata, McGregor ,sgvogliatissimo , appare probabilmente solo per esigenze di pagnotta, mentre Tom Holland, nella parte di Lucas, il figlio più grande, strappa il consenso.
Nonostante tutte le sequenze altamente ricattatorie dal punto di vista emotivo in cui è protagonista incontrastato.
Naturalmente successo al botteghino assicurato.
( VOTO : 4,5 / 10 )
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