Lo strano caso di “The Interview”, film prima rilasciato e poi sottratto dagli scaffali a seguito di ordine del produttore stesso, Sony, dietro la motivazione di aver ricevuto minacce e una dichiarazione di “inaccettabilità” da parte del probabile governo della Corea del Nord, dietro minacce di hacker, ha fatto parlare anche nientemeno che Barack Obama.
“Sony non avrebbe dovuto togliere dagli scaffali ‘The Interview’”, ha detto. “Comprendo le loro preoccupazioni, cui hanno dovuto far fronte, ma, detto ciò, la loro decisione è stata un errore”.
Aggiunge che sarebbe stato piacevole che prima se ne fosse parlato, con lui personalmente, il che, oltre ad essere una violazione delle norme del libero mercato, per cui la Sony, compagnia privata, non può che rispondere alle sue regole e non dovrebbe mai sottostare all’ipotetico governo, è anche strettamente improbabile: possibile che il Presidente degli Stati Uniti abbia il tempo per giudicare se un film può uscire nella sua democrazia? In quello Stato che si frega di essere baluardo dei diritti e delle libertà.
Sulla censura nel mondo occidentale, magrado norme e dichiarazioni di principi che si ritrovano qua e là negli ordinamenti, c’è ancora molto lavoro da fare.
Non solo l’America, abbastanza lontana da noi come Weltanchaaung, ha censurato prima e continua a censurare, spesso nel nome del “save the children”: i bambini, salvate i bambini; ma anche l’Europa, l’avanzatissima Europa patria delle più moderne costituzioni e da sempre attenta al diritto soggettivo di ognuno di noi con la sua Corte.
In Germania, per esempio, in numerosissime opere, che altrimenti potrebbero avere un vero valore storico, è portata avanti la cesura della svastica, la soppressione dell’inno di Horst Wessel e di tante altre facezie che, però, possono in qualche
Logo del film utilizzato in Fair Use
modo rimandare al tempo buio del nazismo.
In Italia, sebbene oggi la censura sia piuttosto lasciva, era molto pregnante in passato, specie nel periodo del terrorismo e della crisi tra i ’70 e gli ’80. Parte dell’enorme successo che ebbe “Indagine su un Cittadino al di Sopra di ogni Sospetto”, di Elio Petri, fu proprio da ricercarsi nel rischio che il film ebbe di subire il sequestro.
Considerato il fenomenale rilato mediatico rilasciato nei confronti di questo film che altrimenti non stava particolarmente facendo parlare di sé, può giustamente porre qualche interrogativo su una manovra privata della stessa casa produttrice, che con una mano crea un caso di Stato, e con l’altra ottiene la più gratuita delle pubblicità, e la più pervasiva: quella nei media, facendo peraltro la figura di quella che rispetta i diritti umani e accetta le cosiderazioni degli altri stati.