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Ecco, "The Judge" fa parte di questo genere di pellicole, è una di quelle storie che il cinema ha visto non si sa quante volte e raccontato secondo illimitate forme, eppure il suo sapore per niente può considerarsi sciapo così come la sua venuta per niente può considerarsi sorvolabile.
Il trucco, se si può considerare tale, risiede nella capacità di un cast eccezionale e di una regia costantemente sobria e asciutta, che mai si concede delle sbavature e sempre resta concentrata sulla compattezza e sull'equilibrio. Così il percorso a ritroso verso le origini e dall'epilogo scontato, in cui si imbatte il personaggio di Robert Downey Jr. - che lo costringe a riprendere i conti con un passato messo da parte, lasciando per un momento la sua vita da sporco avvocato di successo privatamente in crisi - non risulta mai stucchevole o fastidioso, anzi, in qualche modo trasmette la sensazione piacevole e rassicurante di una redenzione condivisa, perché destinata a passare attraverso un vortice di emozioni a noi conosciuto, ma comunque adorato. Poggia quindi la sua intera sorte sull'intensità delle performance attoriali "The Judge", facendone il pieno per dare spessore e dinamismo a un respiro narrativo decisamente d'altri tempi, che avvolge e riscalda i momenti drammatici e ironici sparsi sapientemente lungo il suo obbligato tragitto, guarniti, in alcuni casi, anche di un paio di scene madri che gioca con astuzia senza forzature.
In questo frangente la bravura di David Dobkin dietro la macchina da presa si fa dunque preziosissima: minuziosa a non esagerare nei tempi e nella potenza, e impeccabile a mantenere l'ordine quando è il turno di elaborare sottotrame leggere, come quella sentimentale, o un tantino più spesse, come quella legale, che ad un certo punto viene inglobata dal filo principale diventandone corpo unico e totale. A tenere banco, tuttavia, restano gli asti e le accuse della famiglia "simile a un quadro di Picasso" (cit.), capitanata dalla strepitosa coppia composta da Robert Downey Jr. e Robert Duvall, entrambi anime della pellicola e fenomenali a infondere tensione e coinvolgimento durante le continue discussioni colme di orgoglio e affilate di astio. Il loro apporto è senza ombra di dubbio fondamentale per la qualità e il ritmo inseguiti da Dobkin, il quale ogni volta può fare affidamento su primi piani e silenzi espressivi per recuperare quei stati d'animo utili ad evitare didascalismi ulteriori, che avrebbero portato a una retorica scadente da cui, fortunatamente, la sua opera non si lascia infettare.
Ci troviamo di fronte, pertanto, a una pellicola appartenente alla categoria niente-di-nuovo, e questa è un evidenza a cui praticamente è impossibile appellarsi. Come è impossibile appellarsi al fatto che la costruzione di "The Judge" sia tipicamente di stampo classico, e trasmetta al pubblico l'effetto di un cinema antico che sembrava esser stato messo da parte e dimenticato da Hollywood. Esiste però una ennesima evidenza, la più importante forse, che sa convivere tra benissimo con le due precedenti, e cioè che di pellicole di questo tipo, dirette egregiamente e interpretate ancora meglio, il cinema ha bisogno e continuerà ad averne in eterno, poiché valgono tanto oro quanto luccicano.
Per cui, a Dobkin e alla sua squadra bisogna solo che ringraziare e fare chapeau.
Trailer:
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