Ogni sogno ha il suo incubo peggiore!
Magazine Racconti
Felice di allontanarsi dalla consolle di Avraham, CJ seguì il fisico senza altri ripensamenti. Voleva lavorare e dimenticarsi dei problemi tra lui e Ariane, ma ogni volta che vedeva qualcosa di relativo alla Kestrel gli tornava in mente la donna del futuro o peggio, le allusioni di Delacroix.
C’è qualcosa di assurdo in tutto questo e non riesci a capirlo. Si disse con un sospiro.
– Non prendertela, CJ. Anche a me dispiace per te, ma siamo qui e dobbiamo fare il nostro lavoro. Ti conosco abbastanza da sapere che se ti concentri sul lavoro, nulla può fermarti. Devi solo tenere duro e alla prima occasione ti rimanderanno a casa! –
– Grazie Al. –
– Vorrei tornare a casa quanto te, ma non riesco a vederti così: sembra che qualcosa ti faccia paura. –
CJ trattenne il respiro, non poteva credere che i suoi stati d’animo fossero così palesi, ma non disse nulla per non peggiorare le cose. Sarebbe stato molto imbarazzante dover spiegare perché non riusciva a togliersi dalla testa il nome di Delacroix, oltre a ciò che stava scrivendo per la consolle delle armi.
– Che tu sia il migliore non ci sono dubbi, da quando sei arrivato le tue idee sulla Kestrel hanno fatto fare passi da gigante a tutto il progetto. Come prima, con il codice di Jordan! –
Il fisico si fermò a fissarlo con un sorriso, dandogli una pacca sulla spalla. In assenza di gravità sembrò più una spinta, ma CJ gradì il gesto – Grazie, ma non sono così indispensabile! Siete voi ad aver fatto quasi tutto il lavoro. –
Rory sorrise ancora, ma non aggiunse altro. Limitandosi a spingersi in avanti, verso il settore cinque del laboratorio.
Quella sezione era divisa da una porta e conduceva al settore più esterno dell’intero laboratorio, anche lì Delacroix aveva fatto mettere una guardia armata, anche se c’erano più controlli che in ogni altro luogo della stazione spaziale. Il fisico ignorò il piantone e dopo una scansione retinica, appoggiò la mano sulla serratura a riconoscimento palmare per aprire la porta.
Il settore cinque era molto più simile a un’officina che al laboratorio che avrebbe dovuto essere, c’erano banchi da lavoro ancorati alle paratie e tutti avevano una piastra magnetica per impedire agli attrezzi di fluttuare in giro, ma a farla da padrone era lo scheletro dello scafo della Kestrel.
La forma sgraziata della nave era il connubio tra un cilindro e un parallelepipedo, largo quanto un campo da tennis e lungo cinque volte tanto. L’altezza era indefinibile a quello stadio della costruzione, ma CJ sapeva che starebbe stata alta quanto un palazzo di due piani.
Rimase a fissare le squadre di operai che aiutati dall’assenza di gravità lavoravano sulle paratie esterne di quella che sarebbe diventata la capofila di una serie di navi in grado di viaggiare per tutto il sistema solare.
– Sono arrivate l’altro giorno. Lega in titanio rivestita di cobalto, secondo le proiezioni dei nostri laboratori in Alaska dovrebbe a resistere senza deformarsi fino ad accelerazioni di 100 Km/s. –
CJ si spinse verso una di quelle lastre di metallo alte il doppio di lui, passandoci una mano sopra. Al tatto sembrava lo stesso metallo con cui erano costruite le paratie interne della Magpie, tanto che per un istante si chiese se non avrebbe dovuto mettere qualcuno a lucidare i corridoi del ponte inferiore della corvetta. Fece per torturarsi un ricciolo, rendendosi conto troppo tardi che la sua mente gli aveva giocato di nuovo un brutto scherzo.
– Mi sembra che tu ti stia divertendo. – scherzò Rory, raggiungendolo – Abbiamo impiegato questi sei mesi a perfezionarle e stiamo lavorando su una nuova evoluzione, anche se credo non la vedremo mai sulla Kestrel. –
– Scommetto che state pensando di aumentare la resistenza alle temperature con un rivestimento al niobio, vero? –
La risata di Rory si perse nel clangore di una paratia che veniva collegata allo scheletro della nave – Lo sapevo che qualcuno ti avrebbe detto del nuovo progetto, anche se Roya voleva mantenere la sede di Vancouver all’oscuro di tutto! –
CJ arrossì, non voleva passare per l’uomo che spifferava i segreti aziendali, come non voleva far capire a nessuno che le sue intuizioni riguardo il progetto Kestrel erano dovute ai sogni sulla Magpie – Ho solo tirato a indovinare! –
– Non prendermi in giro, uno come te non tira a indovinare, CJ! –
– Abbiamo sviluppato quel superconduttore al niobio per i GGA di Olympus, mi sembrava logico pensare che Roya volesse portare avanti quella ricerca anche sulle leghe. –
Il fisico sorrise, ma si affrettò a chiarire – Non dire a nessuno che ti ho confermato questa faccenda, Roya mi farebbe a pezzi se lo sapesse! –
– Non preoccuparti, Al. Non so nulla dei progetti della vostra divisione. Sto solo cercando di immaginarmi il lavoro finito. Credi che riusciremo a vedere un sistema solare fatto da stazioni come Olympus e navi come questa? –
– Ora sembri melodrammatico, sai benissimo che una volta completata la realizzazione di Olympus ci saranno intere aziende pronte a scommetterci sopra e se Mynoff non è uno sciocco ne approfitterà per fare un accordo con Starling e le sue navi. –
CJ ripensò ai cantieri del clan Jaguar e alle corvette neoeuropee, entrambe quelle realtà erano migliori delle navi della LoneStar, eppure avevano iniziato più tardi. Scosse il capo, scacciando quei pensieri, anche se gli risultava sempre più facile pensare al sogno come al futuro dell’umanità, non poteva permettersi di cadere in quella trappola, senza rischiare d’impazzire.
– CJ non pensarci troppo, stiamo ancora cercando di costruire una nave! – lo richiamò Rory, con un colpetto sul braccio – Se ti metti a pensare a come potrebbero andare le cose non finiremo di costruire neanche questa! –
– Scusami, Al! Dovremmo andare a controllare il propulsore, vero? –
– Oh, hai già finito il tuo tour? Pensavo di doverti tirare via da qui con la forza! –
– Voglio sbrigarmi, prima tornerò a casa e prima potrò riabbracciare Ariane. – confessò CJ, consapevole che più tempo passava su quella stazione spaziale, più i suoi nervi venivano messi alla prova dalle continue domande su Delacroix e sui suoi sogni.
– Se non ti conoscessi direi che il grande Cameron Jennings si è stancato di voler fare l’astronauta e ha finalmente messo la testa a posto. – lo derise bonariamente Rory, circondandogli le spalle con un braccio.
CJ simulò un sorriso, ma la paura di perdere la ragione era maggiore di qualsiasi curiosità riguardo la nave e l’utilizzo che la LoneStar ne avrebbe fatto in futuro. Doveva andarsene da Comet Station prima che la ragione lo abbandonasse completamente.