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Aprì gli occhi scollegandosi dalla realtà virtuale.
Aveva in mente l’ultimo pensiero della sua interfaccia neurale e per un istante cedette alla solita sensazione che coglieva chi indugiava troppo con quel tipo di tecnologia, sentì la personalità fittizia del programma perdere forma nella sua mente, la memoria farsi incerta e traballante, sbiadire ogni attimo di più. Chiuse gli occhi scacciando le ondate di vertigine, la sensazione di vomito e la voglia di urinare.
Si mise a sedere nel letto, il buio della stanza era illuminato dal pannello che avevano installato qualche giorno prima, costato un occhio della testa e configurato a metà. Del resto i suoi datori di lavoro erano stati chiari, non potevano permettersi ritardi e quei led che ammiccavano lampeggiando a tratti erano la prova definitiva che dovevano accelerare, arrivare a una risoluzione del problema.
La realtà virtuale era solo un modo veloce per ricostruire gli eventi degli ultimi mesi, ma il suo intuito era già arrivato alla conclusione che si doveva intervenire in modo più invasivo, altrimenti sarebbe andato tutto al diavolo. Sapeva di non poter più rimandare l’inevitabile, nessuno di loro poteva.
Avrebbe dovuto lavorare con quello strumento, affidarsi completamente all’interfaccia e cercare di risolvere un problema creato dalla realtà virtuale stessa. Non c’era altro modo.
Bisogna dirlo a Delacroix!