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Molto ambizioso questo film di Jim Jarmusch datato 2009, opera aldilà della maturità che è lì a dire: io faccio quello che mi pare, voi pensatene ciò che volete. Immobilizzato da una morsa teorica che esaspererà i meno pazienti, The Limits of Control è cinema, come suggerisce il titolo, interessato alle delimitazioni, ai recinti che, innanzitutto, costituiscono il genere di riferimento (un po’ è il thriller, un po’ è il noir, ammesso che vi sia differenza), sicché l’occhio di bue viene deviato dal baricentro (il perché di tutto questo errare da parte del protagonista) al margine, o ai margini, della messa in scena, a ciò che solitamente non viene rappresentato (tutti i momenti “vuoti” nella stanza d’albergo, o quelli al tavolino dei bar). Che tale operazione possa far scemare il livello partecipativo dello spettatore è un’idea condivisibile, tutto sommato la sua articolata realizzazione riesce comunque ad esercitare un persistente fascino, anche perché la pellicola non è soltanto un semplice susseguirsi di sequenze morte, c’è dell’altro e vediamo subito cos’è.
Il film è integralmente settato per ripetere uno spartito uguale fin dal primo dialogo all’interno dell’aeroporto, è chiaramente una facezia, per non dire provocazione, di Jarmusch che applica una struttura scientifica alla storia (attenzione ai dettagli reiteranti!) laddove tutti gli incontri che il sicario fa con i vari anelli della cricca hanno medesima impostazione, le uniche variabili riguardano il testo, ciò di cui si discetta previa parola d’ordine: “tu non parli spagnolo, vero?”. Gli strambi soliloqui a cui assiste uno sfingeo Lone Man non hanno in apparenza alcun filo logico, e la cosa per quanto mi riguarda sarebbe potuta andare bene anche così, ma il regista di Daunbailò (1986) si impegna comunque a dare qualche coordinata per potere (provare a) chiudere il cerchio: con il blitz all’interno del bunker l’uomo d’affari si rivela sia il bersaglio che l’antitesi: “voi non ne sapete un cazzo di come funziona il mondo”), e pronta la risposta: “io capisco soggettivamente”. Lo snodo cruciale è tutto in questa affermazione, nell’arbitrarietà di comprendere, di sentire, di ascoltare, di vedere, anche un film, e di afferrare l’irregolarità in una perfetta catena di montaggio, ne consegue che The Limits of Control è un film sui limiti della rappresentazione, del catturare una sequenza, di riproporla allo sfinimento, di incastrare tutto in un ordine che però deve scontrarsi col Singolo, e lo spettatore viene avvertito fin dall’inizio: “usate la vostra immaginazione e le vostre capacità. Tutto è soggettivo.”Tutto è soggettivo, come nel cinema.
Ho usato la mia immaginazione.
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