Trasposizione animata dell’omonimo picture book illustrato dall’australiano Shaun Tan (qui nelle vesti di co-regista insieme a Andrew Ruhemann), The Lost Thing (2010) segue la scia di una certa animazione contemporanea: grande attenzione al comparto visivo e, nei limiti strutturali – qui giriamo intorno al quarto d’ora –, cura del messaggio d’accompagnamento.
A dir la verità negli ultimi anni si è assistito ad un uso della computer grafica superiore, e molto, a questa. L’attenzione verso i dettagli c’è (i fondali sono molto graziosi), quella nei confronti dei personaggi un po’ meno. Parecchio legnosi sono infatti i movimenti del protagonista, soprattutto nella deambulazione che si nota ben poco fluida; in generale meglio la realizzazione di The Thing.
Anche nel sottotesto si può trovare qualche neo, dovuto più che altro ad un’induzione dei concetti per facilitarne l’apprendimento: la città è grigia, gli uomini sono altrettanto grigi (ricordano quelli di Metropia, 2009) e hanno perso le cose belle, o magari esse sono lì, a due passi da loro, ma non riescono a vederle. Il contrasto tra mondo urbano e mondo fantastico è proposto in maniera elementare: niente di male, molto di scolastico.
Se però è vero che questo corto riproduce buona parte degli stilemi dei cartoon digitali, allora qualcosa di buono lo offre, e sono elementi che giocano a favore dello spettatore perché c’è della sana inventiva dietro questo lavoro (basta prendere i titoli di testa) a cui si accostano siparietti comici dignitosamente congegnati, senza dimenticare che la visione dell’altro mondo è una bella esplosione di vitalità con tutte quelle strambe creature che non sarebbero dispiaciute a Moebius.
Il salvagente sta però altrove, precisamente nel timbro autunnale che gli fa evitare ogni pericolo di infantilismo, di faciloneria: dietro la didascalia c’è un velo di amarezza, di scoramento.
Per il sottoscritto caruccio, per la commissione dell’Academy degno di vincere l’Oscar come miglior cortometraggio d’animazione.