1 ottobre 2012 Lascia un commento
La droga ad esempio.
Un mercato in folle espansione come quello cinese, rendera’ il consumo di stupefacenti europeo e statunitense marginale, la criminalita’ orientale lo sa e si sta gia’ muovendo. Che la malavita cinese, giapponese e finanche quella coreana, siano micidiali lo abbiamo imparato ma col potere possono accrescere smisuratamente in ricchezza e ferocia, includendo nei loro traffici armi, prostituzione e traffico d’organi a livelli temo inimmaginabili.
Ebbene "The Man From Nowhere" ci fornisce un assaggio della violenza ad un nuovo ordine di grandezza e ovviamente, della sua possibile cura. Un uomo misterioso dal passato ancor piu’ misterioso, pare l’unico ad avere forza e determinazione nel combattere la criminalita’ dopo che, auto esiliatosi dal mondo, deve affrontare nuovi nemici quando una ragazzina di cui e’ divenuto amico, resta coinvolta in un traffico di droga andato male.
Ecco quindi profilarsi un nuovo e involontario eroe, un Bourne pienamente cosciente dei suoi mezzi e senza scrupoli, uno che la licenza di uccidere se la prende senza permesso e senza guardare in faccia a nessuno, nemmeno alla polizia. Lee il regista, e’ formidabile, dopo queste premesse, a raccontare una storia il cui profilo e’ circoscritto nel thriller, a tratti persino noir, come se l’azione fosse un optional mentre ombre e pioggia la fanno da padrona.
C’e’ molto del miglior cinema occidentale di questi ultimi decenni ma non sarebbe cosi’ formidabile senza la triste poetica di una scuola, quella coreana e giapponese che parte da Kitano e arriva a Kim Ki-duk passando per Kim Jee-woon, Park Chan-wook, Tsukamoto, Bong Joon-ho e troppi altri da citare.
E’ una scuola di sentimenti mediata dalla tragedia, mescolanza di violenza e realta’ quotidiana, che non accusa e non si piange addosso anzi gli eroi nascono dalla sconfitta e dal dolore laddove, essere senza speranza e’ l’arma piu’ importante per vincere.
Grande successo nella patria Corea, in Cina e Giappone. Ha sfondato il muro nazionalista del cinema statunitense con ottimi risultati e meritatamente aggiungo anche perche’ oltre la soddisfazione di vedere gran cinema, un po’ di Giustizia, Giustizia non legge, non coi proiettili di Callaghan o i cazzotti di Maurizio Merli ma con arti spezzati e coltellate a gente che ammazza bambini per strappare loro gli organi, e’ un piacere per la mente e per gli occhi.
Una sonora sveglia a cio’ che rimane del poco cinema sopravvissuto dalle nostre parti.